Pègaso - anno III - n. 1 - gennaio 1931
F. RUFFINI, La vita religiosa di A. Manzoni 105 - non dico che all'occasione essi non rendessero la pariglia, - era appunto di quelle che Manzoni non tollerava. Il Ruffini mette bEme e diffusamente in luce due episodi: primo, l'avere il Nostro in due collo– qui dissentito severamente dal Vescovo cli Fossombrone, Mons. Alvisini, pure uomo di molti meriti, il quale nel tradurre la celebre opera storica del gesuita BaJ.'ruel aveva del suo rincarato la dose contro i giansenisti; secondo, l'avere il Nostro rifiutato di conos-cere Lamennais, benché il Tosi lo desiderasse tanto, e per consiglio del Tosi stesso ne ave,sse tra– dotto, - sia pure con parecchi tagli, - il primo volume del famosissimo Saggio sull'indifferenza. Al Lamennais il Nostro imputava non solo il mescolare la politica alla religione, ma, l'essere autore, - tardi ricono– sciuto, - di vecchie polemiche virulentissime. Del resto, - per passare nel campo opposto, - le stesse Provinciales di Pascal, che pure come intendimento generale dovevano piacergli, e come espressione d'un genio doveva ammirarle, ,si sa, - e il Ruffini lo accenna, - che non gli garbarono mai del tutto, a causa dell'artificio polemico che in esse abbonda. Ma per tornare agli scritti che ferendo i Giansenisti provocavano nel Nostro una rea~ione in loro favore, bisogna aggiungere che questa era favorita anche da una, sua esperienza, personale. Qual'era la ragione pratica, diremo cosi, della lotta antigiansenista ? Ohe il Giansenismo conducesse al Calvinismo. In Ita.lia, ad esempio, questo era stato il monito del Lanteri nel fondare l'Amicizia cattolica. Ora, qualunque cosa .si potesse pensare delle affinità dottrinarie tra le due eterodossie, Manzoni di fatto, e in cose che lo toccavano da vicino, aveva visto ac– cadere tutto il rovescio. Poteva dire : « Io ho una moglie che l)ra cal– .vinista, e a farla diventare cattolica sono stati i Giansenisti; quando il Calvinismo ricevette da lei il colpo della solenne abiura, tutta la colonia giansenista di Parigi volle esser presente e festante; quando poi io stesso ritornai alla fede cattolica, anche per mezzo di istruzìoni datemi da due sacerdoti giansenisti, il primo c6mpito che uno di questi, il Tosi, m'assegnò perché in favore del cattolicismo io m'adoprassi in modo pubblico e positivo, fu di cqmbattere le proporzioni di un calvi– nista, il Sismondi. E quando finalmente questa mia operetta anticalvi– nista uscì, il primo a darne favorevole giudizio al mondo fu un gianse– nista, anzi il capo dei Giansenisti di Francia, il Grégoire ». Con questi precedenti, come volete che il Nostro provasse verso le persone e un po' anche verso l'attività dei Giansenisti, quell'antipatia e quella difti– denza che erano diffusissime nel mondo ortodosso ? Fatta questa concessione al Ruffini, credo sia finalmente giunto il tempo di domandarci : ma insomma, in quella disputa del 23 settem– bre 1819, quale fu la tesii sostenuta da Manzoni ? Per il Ruffini non c'è via di mezzo. Date le convinzioni del Billiet; date le propensioni di Manzoni non rimase a quest'ultimo che una via sola: sostenere la tesi giansenista. Per me invece c'è una terza via e precisamente quella che il Nostro dovette scegliere. Voglio dire che non sostenne come sua nessuna tesi, ma si limitò a dire ragionata_mente all'avversario : « voi non giungete a dimostrare con sicurezza persuasiva la tesi vostra, orto– dossa finché volete ma che non c'è obbligo d'accettare». BibliotecaGino Bianco
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