Pègaso - anno III - n. 1 - gennaio 1931

Pal-inodia del Crepiiscolarisino 99 Ma attraverso quale compattezza di stratificazioni letterarie filtrasse anche quest'esile vena di poesia originale, ve lo dice una lettera d'amore corazziniana fattaci conoscer-e appunto dal libro del Martini: « Il fa– nale davanti alla porta del villino dove abito s' è spento, un' assai soave luna mi guarda e tiene i miei occhi stanchi. Oh, gli occhi stanchi, un poco rossi, semichiusi, voluttuarii ! ». Più sotto: « .... un volto di una ovalità soave, pallido di quel pallore che l'anima sola può diffondere per la carne, mi sta dinanzi insistentemente>>. E anc6ra: « Rare volte ci troviamo, ma in quell'istante in cui posso ,fissarla profondamente, in– tensamente, trafiggendole gli occhi con le lancie dei miei .sguardi, io mi sento cosi buono, cosi tenero, cosi dolcè, che la mia vita fugge lenta e soave, e s'inazzurra, e .s'inciela >>.In fine: « Questa notte l'ho sognata. Mi baciava. La sua bocca è un fiore. Oh, sfiorirlo ferocemE.nte, lenta– mente, fino alla morte! Sono stanco assai, soavissimam~mte stanco >>. Non è dannunzievole tutto questo? E chi pensi, per restar ne,lla sfera– dei coetanei e coE,vi del Corazzini, e dei raffinati e degli squisiti, alle lettere d'amore, per esempio, del Serra,, s'accorg·erà subito dell'enorme distanza da uomo a uomo. Il Martini può di•ssimular.selo, anzi confessare, con una nobiltà d'intenti che gli fa onore, la massima adesione sentimentale a memorie le quali gli restano, e non cesseranno mai di essergli sacre; ma non per ciò lo sentiamo meno staccato, in que 1 sto ultimo libro, dal proprio io di vent'anni sono, e dalle memorie d'allora. Per riapprodare all'isola dei poeti giovinetti, che fu anche la sua, quanti e quanti nodi non deve aver dovuto fare lui pure! Né gli riesce, ora che i miraggi non illudono più, ridarsi in braccio alle Sirene se non per atto riflesso. Lo si avverte cosi bene, dall'enfasi, sia pur leggera, e da non so che deliberata squisitezza d'imagini, più d'una volta sfruttate oltre limite, in tutto che nel libro parla del Corazzini come esponente di quel partfoolàre momento di pas– sione e di poesia. Se il narratore sforza il tono della voce, se da un'ima– gine gli fioriscono altre imagini a grappoli, dev'essere perché è egli il primo ad avere il senso <:liun distacco avvenuto nel-suo spirito: di un di– vorzio tra visione ~ sentimento, i quali una volta erano una cosa sola, e adesso vorrebbero riesserlo, e non ci riescono più. « Ingrigito tutto, Alfredo, già padre di tre figliuoli, e la sua stessa maturità gli ha come offuscato il volto di pinguedine ; ma non appena un nome, - quel nome, - è stato fatto tra noi, ho rivisto in quel volto gli occhi d'allora: svettavano come due alberelli imbevuti <:licielo dietro il desolato squal– lore di un muro e rigavano di vampe improvvise l'aria stagnante della casa>>. Vero, che ostentan_dosi con questo lusso d'imagini, il sentimento si sforza, ma non ottiene di riscaldare ? Troppi inginocchiamenti, nel libro, anche se un risolino d'ironia sale di tempo in tempo alle labbra del Martini, pur ch'e,gli distolga gli occhi dal suo Sergio, (« un nome, - quel nome, - »), e li posi sopra creature meno dilette, o che meno riescano a imporglisi. Ebbene, fate che l'idolo, il quale esercitava un fascino cosi grande, ma anche spandeva intorno a sé una sottil malia di perdizione, sparisca sotto la zolla della sepoltura come a Campo Verano, e vedrete farsi sempre più libero il distacco del romanziere dal suo mondo retrospet- BibliotecaGino Bianco

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