Pègaso - anno II - n. 11 - novembre 1930

IY 524 A. Palazzeschi siete stupide a scalmanarvi tam.to ! )). Il suo ruolo era quel_l~ della donna contenta, sodisfatta, e buon a, ché la sua bellezza risiedeva sopratutto in una luminosa bontà.... . Non mi ha mai abba!lldonato un'impressione di c,orallo ricevuta passandole vicino e ammirando l'armonia della sua pelle della sua bocca, e del collo. Quando alzava la tend'a della cabina, divenuta un sipario, e sporgeva la punta del cappello era un: «oh! oh! eccola! eocola !)): Tutti si assiepava1110sul ponte per vederla passare nuotamdo, lei sorrideva a tutti tranquillamente, come ad amici; e una volta sotto si gettavano dall'altra parte per vederla uscire. Erano stati i tre famosi giorni di libeccio, immancabili ogni anno a Livomo, quando non eran sei, in due riprese. Come un gigante che abbia mostrato soltant<1 il lato beinefico della sua, forza, il mare faceva seintire d'un tratto che c-0-safosse la potenza della sua collera. Gli stabilimenti diventavano gabbie vuote assaltate dalle onde; spariva tutto : tende, tendine, coperture; non rimam.evano che gli scheletri frustati dalle corde sotto l'impeto del vento, e le scalette come dentiere. Il sole diveintava freddoloso e annacquato quasi arrivassero fino a lui gli spruzzi acrobatici delle ondate che si frangevano sugli scogli. Al vento impetuoso si era aggiunta una pioggia strapazza– tissima. Pam.caldi era deserto in quei giorni, i pochi intervenuti si rifu– giavano nelle sale del caffè e del circolo, o si tenevamo lungo il muro del fabbricato dove non arrivavano le onde, e riparam.dosi dal vento. Le stelle della terra erano sparite oolla sparizione di quelle del ci~lo ; rimanevruno in casa, o andavano a brillare in casa degli amici, negli alberghi, in città. La sera, nella sala da ballo semispenta, qualcheduno strimpel– lava il pianoforte, e due o tre coppie ballonzolavano senza continuità né ardore. Le mamme radunate nei camtucci facevano la calza o il <Yrochet, quasi fossero state a casa loro; ed ogni tanto una; traver– sava la sala correindo per chiudere U\Ilafinestra a causa del vento, o di certi. lampi che amnuinziavano una ripresa del temporale, rive– lando coo uno squarcio di madreperla la tenebrosità del cielo. Giravo splo attomo al fabbricato, spingendomi verso le file delle cabine 'per vederle fredde e ignude in balìa delle ond'e color caffè e latte. Vi erano tre giovami di forse sedici anni o diciassette, non più, che parevano uomini a me che ne avevo appena una diecina e io a loro un fanciullo; quasi che per il poco tempo che ci separ~va fos– simo appartenuti a due mondi diversi. Fo~mavano un gruppo molto BibliotecaGino Bianco '

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