Pègaso - anno II - n. 11 - novembre 1930

516 A. Palazzeschi gooitrice alla quale fece due urlacci negli orecchi per_ di~le eh~ i bagagli sul treno c'erano tutti ed arrestare la sua trep1daz1one d1 colomba. Anche queste io credetti usanze nuove che non mi dispiacev8Jllo affatto· me n'ero presi tanti io di urlacci negli orecchi, che po– terne f~re a mia volta era una cosa che mi attraeva all'eccesso. Ma si trattava di ben altra cosa, ché la giuliva siglllora era sorda come Ulllacampana, ,edlecco il perché di quella pantomima sua e di mi~ madre. Nolll appena accomodatasi nello scompartimento OOlll tutti i suoi pendagli, da quella borsetta che stringeva come ullla preda trasse premurosa un ciuffo di trine nere che ricuoprivruno il corno acustico, e postoselo all'orecchio come urna tromba angelica iniziò una conversazione ballo111zolandosul cuscino, e pu111tamdo il 00000 ora a destra ora a sinistra, giubilando dalle quattro""ftupille, dalla bocca, e da - tutti i pori della sua pelle vellutatissima; e da quello strumem.to nascosto d'entro le trine, si sarebbe detto che u111amu– sica celestiale le invadesse il cuore e l'anima. Mia madre mi fulminava cogli occhi: « No111 ridere ! Non si ride !)). Voleva dire : « Se ridi guai a te ! >>. Mi linciava guardandomi. Semprt> così le madri, e i padri non di– versamente : « non si ride ! >> quando ci sarebbe ,da farsela addosso, poveri bambini; « non si tocca!>> quello che piacerebbe. di avere; ((illOlll si guarda,!>> quello che piacerebbè di vedere; bisogna parlare quailldo si ha voglia di stare zitti, bis,ogma stare zitti quando si avrebbe voglia di discorrere: che educazione impossibile! Ma non ci a111gusti 1 amo per così poco.... La sigillora Fiammetta rideva anche per me, e ora ridiamo tutti i111sieme un po' in ritardo, ma meglio tardi che mai. Rideva, puntava, il corno, e coll'altra mano agitava il vem.taglio ora decisamente per farsi vento, ora c•on suprema dol– cezza zeffirandosi appena la pe]uria della guancia: no111 le man– cava che volare. E mentre tutti le scrundivaillobooe le parole dentro il corno, lei i111v®e parlava così adagio che gli altri erano costretti a fargliele ripetere sempre, ed essa più rideva beata e sodisfatta volendo dire: << lo so, lo so che siete tutti sordi, lo so, mi tocca a dirvi le, cose tre o quattro volte)) e rassegnata le ripeteva più ad!a– gino di prima. E io non dovevo ridere. Appena il treno si mosse, con quell'anelito di sollievo che par– tiva dai suoi quarrunta vago111i colmi e bollem.ti , oome dal petto di un intero popolo oppresso, la conversazio ne cadde sui bagni di Livoroo e su Pancald'i, il più famoso dei suoi stabiHmenti, e di cui la signora Fiammetta era un abbellimento cronico.- Ella sapeva tutto, i se– greti, i misteri, ma .sopratutto diceva i numeri; quanti cappelli e vestiti, ombrellini o paia di -;carpe avevamo le stelle più famose di quel firmamento: marchese e oontesse, attrici, cantanti celeberrime. Una principessa russa veniva <·on ventotto banli, cento vestiti e BibliotecaGino Bianco

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