Pègaso - anno II - n. 11 - novembre 1930

V. GOETHE, 1 dolori del giovane Werther 637 malgrado la stranezza della foggia estemporanea, l'unica di cui, del resto, disponga e nella quale c'è chi pretende d'avel"lo visto morir.e. ,Sbàr-– gliandosi: poiché Werther è, non era. È, oserei dire per la prima volta tra noi, pE\rché, smettendo la parlata d'oltralP,e avu'ta in sorte col san– gue dal suo genitore grandissimo, per la prima volta respira, s'esalta, geme, grida, vagheggia, parla e tace in un ita,Iiano non più, come per il pasf'ato, cartaceo e pieno d'inconscie lepidità ottocentesche o mo– derno epperò universitariamente meticoloso e pedestre, ma in una lin– gua tutta nostra e tutta d'oggi eppur densa di un profumo d'altri tempi, aderente ed eterea, concretissima e quasi irreale. Per cui Werther vive. E in che misura e in che modo, solo lui e solo vivendo ve lo potrà spiegare. Dio mio, oggi certo non si piange tainto o non si piange a qu:el modo e se vien fatto di commuoversi si fa ben.e a dissimularlo o a nascondersi. Allora le lacrime s'ostentavano e facevano un gran bel vedere e par che le glandule lacrimali fossero in un periodo d'attività accentuata con gran guadagno degli smerciatori di « pezzuole ». Ba,sta infatti che la quiete regni n~la natura, dopo la tempesta e che una cara fanciulla po nga lag rimando la mano nella sua e dica « Klopstock », perché Werther, sovvi:ru.endosi « della splendida ode che essa aveva in mente», si chini su quella mano e la baci « piangendo di delizia». Basta che una lagrima spunti nell'occhio di chi lo ascolta p_erché le sue stesse parole lo sopraffacciano e sia costr·etto a portarsi il fazzoletto agli occhi e a isolarsi dalla compagnia. E cosi di seguito. Tutto questo parrebbe lontano, morto e sepolto o vivo soltanto in virtù di quello spirito che ci fa intenerire per le mode sia pur grotte– sche ma r:emote e viceversa ci esaspera contro ogni cosa di pessimo gusto che abbia men di. cinquant'anni. E tuttavia Werther non sarebbe vivo, come noi sosteniamo, s'altro non fosse che un trionfo della sensiòilità sul genere di quelli che, quattr'anni solo dopo la sua patetica nascita, quel be'l tipo del padre suo poteva permettersi di berteggiare. E badiamo an– che di non esagerar.e le sue familiarità con la .solita « malinconia, ninfa gentile»: egli non ha IruJ.,inteso consacrarle la vita,, non c'è peccato che odii negli uomini quanto il cattivo umore e se mai qualcosa lamenta è di sentirsi invaso a volte dall'aridi tà. Come p_er Lenz, lo Stibrmer und Driinger amico del suo giova.ne babbo, anche per Werther amore, odio, speranza, incertezza posson si amareggiare la vita, ma senza di essi· la vita che vale ? ,So]o dei momenti vuoti si dorrà : « Io soffro molto, perché h;o perduto ciò ch'era la sola voluttà della mia vita, la santa forza animatrice con. cui creavo mondi intorno a me». Adagio dunque se lo volete definire: costui, lungi dall'essere un clorotico fratello maggiore del venturo enfant du siècle, è un pletorico·, un seguace inconscio di Hamann, il « mago del nord» suo contemporaneo, secondo cui tutto ciò che l'uomo intraprende ha da sorger da tutte le f6l'ze riunite, un rinunziatore ch,e non rinunzia a nulla, un candidato alla morte ma per esuberanza di vita. Chiamatelo, se meglio vi garba, un artista o un voluttuoso delle lagrime (non un larmoyant), un attivista dell'emotività, dite de, come il pseudoge}ìdo Stendhal, « lorsqu'il éta,it sans émotion, il était sa»s· esprit>►• Ma. non lo incarcerate in un'e}>oea o in una formula. Né l'una, né BibliotecaGino Bianco

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