Pègaso - anno II - n. 11 - novembre 1930
1. A. PAGLI.A.Ro, Sommario di linguistica arioeitropea 6~3 più intuitiva, immediata e, se si vuole, affettiva, di considerare i pro– dotti dello spirito, e fra_ essi, più importante, esigente, complesso, la lingua. Pure il riconoscimento che la lingua è arte, per quanto il Vico e lo Humboldt ciascuno alla propria manie:t:,a l'avessero esplicitamente proclamato, non è avvenuto che assai tardi, giacché dal Bopp in poi la lingua è considerata come un organismo naturale che si sviluppa obbe– dendo a leggi proprie, alle quali è sottoposta ogni attività individuale– Il De Saussure e tutta la ,scuola francese- sono ancora irretiti in que– sto pregiudizio che la lingua sia opera sociale e che soltanto nell'aspetto della socialità essa debba essere studiata. D'altro canto il Vossler ha affermato, sì, sulle orme di Benedetto Croce che la lingua è creazione individuale, ma al tempo stesso egli la considera come strumento della pratica, come qualche cosa di esistente a sé, capace di un proprio svi– luppo. Componenòo siffatta opposizione, il Pagliaro decisamente afferma la natura indiv.iduale del linguaggio e risolve definitivamente il con– trasto fra individualità e socialità, affermando che la lingua è arte, crea– zione individuale, dell'individuo che è esso stesso società e che, poiché porta nella sua creazione le leggi della sua determinatezza storica, non crea a caso, bensì. rivela. In ciò a me pare che il Pagliaro ritorni alla dottrina contenuta nel aratilo di Platone da lui interpretato. L'affermazione dell'identità fra arte e lingua conducè a risultati assai notevoli. Anzitutto il problema, dell'origine del linguaggio intorno al quale si sono tanto affaticati :filosofi, psicologi e linguisti, si rivela come insolubile, poiché il suono è un elemento stesso dell'intuizione o meglio dell'uomo che intuisce. Domandarsi dunque qual'è l'origine del linguaggio come facoltà è porsi la questione del perché l'uomo ha una fantasia, un pensiero, del perché l'uomo è uomo. Attraverso quest'illu– strazione ben s'intende quale profonòa ragione sta alle basi delle inter– minabili discussioni che -occupano il Medio Evo e l'età moderna intorno all'origine umana o divina del linguaggio. Importante conseguenza della concezione della lingua come arte è la determinazione di ciò che nella lingua è errore, cioè non lingua. Errore è la creazione artificiale, razionalistica, voluta, che non s'3f– ferma perché nulla rivela, che è particolare all'individuo fuori della sua società. Mai più netta e severa condanna di quella che deriva da una considerazione siffatta è stata, a me pare., pronunciata sulle lingue ar– tificiali intorno alle quali si va arrabattando ancora tanta curiosa gente di provincia. Ma come si concilia l'esistenza delle lingue, cioè di qualche cosa di continuo che si tramanda di generazione in generazione, con la crea– zione individuale ? La continuità è naturalmente negli individui che hanno quella data storicità; e la nozione di lingua è qualche cosa che è nell'individuo che parla con la coscienza di appartenere a una comu– nità determinata. È una nozione storica che è nel parlante, il quale, lasciato il proprio dialetto o il proprio gergo, si accinge a parlare la lingua nazionale, ed è la stessa nozione che è nel linguista, il quale, spa– ziando su più vasto orizzonte, trova l'unità dove ormai per l'uomo co– mune non c'è che il frazionato, il molteplice, il diverso. Un punto in stretto rapporto con questa, concezione, mette qui conto di rilevare, B1bfioteca Gino Bianco
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