Pègaso - anno II - n. 10 - ottobre 1930
416 G. Comisso contro la parete potei star lì comodamente ad osservare quello che c'era al di là. Un pendio tutto piallltato a cipressi graziosissimi si staocava dal casamento di pietra grigia; ve n'erano ,di esili, di sca– pigliati ed altri di vecchi e sPveri, e fra mezzo passeggiavano alcuni frati, mentre altri, giovanetti, più lontano giocavam.oa buttarsi con le mani una palla di gomma. Il mio amico, vistomi inten to a spiare, s'arrampicò aIDchelui. Ogni tanto le tonache di quelli che passeggia– vano discutendo v~mivanò illuminate dal sole che passava tra gli alberi. Scorgemmo certuni di quelli che giocavano, di una bellezza 111itida,ma tutt'altro che pura. Eravamo presi dalla suggestione del luogo che pareva quasi sospeso sulla terra, qua111do ci colpì dietro a noi un riso simile al canto d'una gallina. Scendemmo, il riso doveva essere provenuto da dietro alla porta celeste. Vi cercammo delle fessure, ma non fu possibile trovarne ; la porta di ferro era liscia come una pietra. Cercammo il battente o il campanello, ma nolll ve n'erruno. Allora d'elicatamente ,ci demmo a bussare, ma non s'ebbe alclillla risposta. Nel silenzio, te111endo l'orec– chio appressato alla porta, sentimmo al di là un respiro affaticato come d'un uomo grasso che tenga il cap,o reclinato. Doveva esserci un frate che ci spiava e allora, prima io e d'opo il mio amico, con voce dolcissima pregammo che ci aprisse e che ci volesse·dare qual– che cosa da mll!IIlgiare,perché morivamo di fame. Nessuno rispose e non s'intese 111eanche più l'a'llsito del respiro. Il mio amico allora preso da rabbia- cercò nelle sue tasche una matita e con quella si diede a disegnare sul bellissimo celeste della porta un'ililgiuria fe– roce. Dopo di che sferzati quattro calci contro la lastra di ferro che rimbombò nel silenzio, scappammo di corsa verso il bosco. Di qui scorgemmo giù nella valle un paesetto tutto di piccole case quasi 111uove, sparse nel sole e nel caldo che stagnava tra il terreno spoglio e roccioso. Stabilimmo di scendere, e illanguiditi dalla fame bisticciammo puntigliosamente circa la strada da prendere. Io volevo far-e la più corta buttandomi a precipizio, il mio amioo voleva rifare tutta la strada attraverso al bos00. Finimmo col seguire quella ri– spettivamente voluta. Per me la discesa fu deliziosa, ora saltando, ora lasci3.llldomi scivolare, ora calandomi da una balza all'altra trattenuto ai rami dei 111occioli.Arrivai in paese, dove all'ombra delle prime case alcUJili ragazzetti giocavamo con delle pietre. Il riflesso della gran-de luoo meridiana accecava, ma a caratteri verdi mi oolpì il nome d'una trattoria. Entrai, pareva stessero per ri– metterla a nuovo in attesa di forestieri. U111 uomo era intento .apre– parare le aiuole ai piedi d'un muretto in costruzione che limitava il cortile; nell'ombra v'eramo dei muratori che dormivano. Le imposte e la porta eramo verniciate di fresco, sulla ghiaia e su un gra-dino della porta v'er3.lllochiazze di calcina. Le pa,reti erano imbiancate da poco. U111'altraporta stava aperta e lasciava scorgere nell'interno BibliotecaGino Bianco
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy