Pègaso - anno II - n. 10 - ottobre 1930

Viaggio in Toscanu 415 messero il morso di quakhe vipera improvvisa. Ulna ci disse che doveva sposarsi entro il mese e noi 1110:n p·otemmo trattelllerci dall'in– vidiare il suo uomo: - Ecco, - disse il mio amico. - Avere dei figli co111 questi tipi che sanno di bosco, pensa,, pensa, come ci si sen– tirebbe solidi e ilil armonia con questi luoghi stupendi! Ah, cosa noi a1J1diamoa cercare altrove ! - Le donne ridevano curve nel tagliare a ciuffi i cespugli. Oammiinavamo lung,o un e-olle a cupola, così dolce che mai ci si sarebbe stancati anche se etemo. Oo111trastava ilil noi il piacere di stare senza parla-re godendo di ,quella immensa serenità del monte e il voler ridestare momenti ancor più felici, vissuti irn altri paesi. Fui io a cedere a questa voglia. - Ti ricordi, Guido, la .Slavonia con la sua terra arida e le do111ne innamorate ? - E rie– vocammo quei giorni, appena finita la guerra, ,di una libertà incre– dibile, quando si amdava sotto gli alberi con due ragazze contadine innamorate sino al delirio. - Ti ricordi di Jeliza che ad occhi chiusi ci riconosceva all'odore della pelle ? - mi disse. - E i prrunzetti, - continuai io, - che poi ci preparavamo sotto il vecchio gelso pieno di more ? La tavola apparecchiata in vista del golfo lucido di sole ? Ti ricordi il risotto con la carne, il dolce di frutta ? - E il loro padre di settamt'anini, seduto a tavola con inoi, - proseguì lui, - che piz– zicava le figlie e poi rideva come U!Il pazzo, quando queste gli tocca– vano le gambe? - Poi, quando ci si buttava sull'erba 111ascosti .sotto i mantelli, ti rioordi ? Egli baidava tutto tranquillo a coltivare i suoi garofani r,ossi e 111-oi si seguitava nell'amore. - Basta! - fece rab– biosamente il mio amico, - basta coi ricordi. La memoria è urna malattia. Non perdiamo il nostro tempo i111 queste chiac,chiere da serve. Vedi lassù quel casamento? Deve essere un monastero. An– diamo a vedere .se i frati ci v-ogliono ospitare. Il monastero posto sul cocuzzolo d'un monte biancheggiava su ,da un gram bosco di pini disposto come una sciarpa attorno al collo. Par,eva lontano, ma ciò non era che un effetto creato dal nostro oc– chio abituato al desiderio d'ampiezze e di fonta,nanze. Presto giun– gemmo sotto il monte e, trovata la strada, amimati dall'ansia di man– giare una buo111aminestra cOII)ditacon erbe profumate, come sam.no fare i frati, i!llpoco tempo arrivammo, al bosco di piJUi.Qualche rag– gio filtrava illuminando i tronchi diritti o un battito d'ala di qualche ucc,ello che si era taciuto al nostro passo. A momenti tutto il bosco stormiva ampio al passare del vooto. La strada fece una svolta e ci trovammo davanti all'i!llgresso del monastero. Ulna lunga .scala di pietra fi,amcheggiata da statue di santi conduceva ad u111a porta. ce– leste, chiusa. Il caseggiato s'a.lzava al di là di un alto muro di cinta e si vedevano certe finestre con inferriate bieche e piuttosto perfide. S'intese il rumore di una sega, ma, come parlammo, il rumore cessò. Si credeva d'essere spiati e alla nostra volta desideravamo di spiare. Un cipresso rasentava il muro; mi arrampicai e puntando i piedi bliotecaGino Bianco

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