Pègaso - anno II - n. 10 - ottobre 1930
R. MAR'l;INELLT, Sud 503 giante non avrà fatto altro che rimirar se stesso allo specchio dei vari paesaggi, dei diversi uomini e delle molte cose, attraverso cui il viaggio lo condusse. La letteratura personale ha saturato il giornalismo. Ieri BaJdini se ne doleva per la letteratura ; temo che qualcuno domani vorrà dolersene per il giornale. E che insomma siano sempre di più i . lettori che, al leggere molti dei nostri articoli, di viaggio o da fermi, si sentono salir su dall'anima quella tale domanda romanesca: - Non ce l'avrebbe un portiere per dirle a lui queste cose? - Va bene, a nostra consolazione noi avremo sempre pronta l'immagine delle perle offerte agli immondi. Ma qui si parlava di Martinelli. In quale dei tipi suddetti è cata– logabile il giornalismo affricano di Martinelli ? Direi in nessuno ; mi pare che lui stia modestamente da sé. L'equilihrio necessario tra le cose e lo scrittore, lui lo ritrova, e sicurissimo, ma a modo suo. Diciamo intanto che _Martinelli è andato in Affriea forse con poco bagaglio co– loniale ma in compenso con gli occhi suoi, e con la voglia di veder lui; e racconta soltanto quello che lui effettivamente ha visto: che è sempre un gran segreto per acquistarsi la fiducia. Nei primi capitoli (il Mar Rosso, Massaua, Asmara) par di vedere Martinelli che si avvicina al- 1' Affrica e all'Eritrea, adagio -e quasi in punta di piedi. Non è di quelli che ci tengono a sembrar subito praticoni e quasi nati nel paese, e che se hanno da descrivere i mori cominciano col tingersi loro la faccia di nero. Anche quando s'internerà davvero nella regione e a Cheren, a, Agordat, a T.essenei il colore nero gli diventerà sotto gli occhi sempre più nero, Martinelli resterà sempre un bianco di Firenze. Direi anzi che il gusto maggiore del libro è proprio qui : in questo gioco di bianco e nero : per cui si vede un Martinelli che sempre con più coraggio si tuffa nel nero dell' Affrica, ma l' Affrica non si inghiotte mai il bianco di Mar– tinelli. Su di un altro punto, il lettore vuole essere rassicurato : le descri– zioni. Questa è la, vera piaga dei libri di viaggio. Diceva Ferdinando Martini (siamo in Eritrea; e jl Martini calza) diceva dunque il Martini che le descrizioni non servono a nulla : nessuno, assicurava, ha mai visto una regione, un paese, una città attraverso una descrizione. Come si comporta Martinelli ? Come un angiolo. È raro che le sue descrizioni superino la pagina. E sono sempre condite di osservazioni, di affetti, di motti, e insomma .di quel sentimento critico o affettuoso, per cui anche le descrizioni non paiono più tali, ma diventano anch'esse esempi, modi, passaggi, del discorso. Martinelli è uno di quegli scrittori che ere.dono che ciò che più interessa l'uomo sia ancora e sempre l'uomo; senza l'uomo anche a lui i paesi dicono poco. Direi persino che questo scrittore in Affrica soffre la solitudine, e l::i,combatte come può, tanto evidente è la sua cura di rintracciare da per tutto un uomo, bianco o nero non im porta: e di rompere il capitolo con un ritratto, un dialogo o almeno una battuta. I padri cappuccini incontrati sul piroscafo, e quel ·caro Padre Cassiano ritrovato poi nell'interno dell'Eritrea; il mercante Batzarà, gran regolatore dei commerci orientali; Alania, sceriffa e gran digni– taria; Nahari, mercante di perle che si chiama da sé cc il meschino», la misteriosa sposa Cagigia, il giornalista Mister Norden, così buffamente BibliotecaGino Bianco
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