Pègaso - anno II - n. 10 - ottobre 1930

486 F. Flora cagli e impuntature che indicano la profondità della parola, serbata nel fondo della memoria e non ritrovata se non dopo una lieta fatica: Ecco la notte, e 'l ciel tutto s'imbruna, E gli alti monti le contrade adombrano; Le stelle n'accompagnano e la luna. Od anche: Mutata è la stagione, e 'l tempo è duro: E gjà s'attuffa Arturo in mezzo l'onde, E 'l sol ch'a noi s'asconde, ha i raggi spenti; È van per l'aria i venti mormorando; Né so pur come o quando torne estate. E le nubi spezzate fan gran suoni. Ove c'è anche da notare (e quasi tutti i versi dell'Arcadia affrontano difficoltà metriche con la più consumata virtù) il gioco delle rime che crea nel bel mezzo del verso quel bacio ora lieve ora intenso, e diffonde per tutto il periodo un alone vaghissimo e variato. Troppo ci, sarebbe da citare delle prose, specie dalle placidissime de– scrizioni: E per gli ombrosi rami le argute cicale cantando si affaticavano sotto al gran caldo: la mesta Filomena da lunge tra folti spineti ululava; cantavano le merole, le upupe, e le calandre: piangeva la solitaria tortora per le alte ripe: le sollecite api con soave susurro volavano intorno ai fonti : ogni cosa redoliva della fertile estate: redoJ.ivano i pomi per terra sparsi, de' quali tutto il suolo dinanzi· a' piedi, e per ogni lato nE>vedevamo in abbondanza coverto: sovra i quali i bassi alberi coi gravosi rami stavano si inchinati, che quasi vinti dal maturo peso pa• rea che spezzare si volessero. · E ancora: (il fiume Erimanto) da pié d'un monte per una rottura di pietra viva, con un ro– more grandissimo e spaventevole, e con certi ,bollori di bianche schiume si caccia fuore nel piano, e per quello trascorrendo, col suo mormorio va faticando le vi– cine selve. Era già per lo tramontare del sole tutto l'occidente sparso di mille varietà di nuvoli; ,quali violati, quali cerulei, alcuni sanguigni, altri tra giallo e nero, e tali si rilucenti per la ripercussione de' raggi, che di forbito e finissimo oro pareano. L'eleganza è un vero stato di grazia per il Sannazaro che sceglie soprattutto i letterari aggettivi: e dirà fiunvi ignudi, ignudi pesCi, i dannosi lupi, i fiochi fagiani, le susurranti q,pi, i cantanti uccelli, le tacite stelle, le sterili arene, i quieti sepolcri, le opache ombre, i son– nacchiosi papaveri. E anche le durezze degh sdruccioli e di certi verbi scabri sono durezze e scabrezze di uno scrittore elegante che se -ne sa valere a scopi eletti: si vale di parole audaci come aduncarsi per dive– nire adunco, incalvarsi per divenir calvo, impopularsi per riempirsi di pioppi, olfare (odorare), certare (combattere), distenebrare, disventura, inoelebre: usa diminutivi come limula (piccola lima), edicola (piccolo BibliotecaGino Bianco •

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