Pègaso - anno II - n. 10 - ottobre 1930
484· F. Flora marciscono. Le misere api dentro ai loro favi lasciano ·imperfetto perire lo inco– minciato miele : ogni cosa si perde; ogni speranza è mancata; ogni consolazione è morta. Non ti rimane altro ornai, sampogna mia, se non dolerti, e notte e giorno con ostinata perseveranza attristarti. Attristati adunque, dolorosissima: e -quanto più puoi, dell'avara morte, del sordo cielo, delle crude stelle, e dei tuoi fati iniquissimi ti lamenta. Vero è che il poeta si consola, pensando che in questo secolo la sua sampogna è stata « prima a risvegliare le addormentate selve, ~d a mostrare a' pasto1.'i di cantare 1~già dimenticate canzoni». Quando il .Sannazaro, - s'è già a,ccennat6, - lesse i poeti latini e greci, senti che essi avevano limpidamente cantata quella parte della vita che più gli era cagione di simpatia: la quieta vita dei campi che egli aveva nel suo ricordo d'infanzia come un alto monte specchiato in un lago. E, come l'altro suo affetto era la vocale bellezza delle imma,gini dei poeti, anchè il suo sentimtmto della pratica vita e quello che gli ispirava i poetici desideri. il Sannazaro senti nelle parole dei .suoi poeti : gli pia,cque dare alle sue memorie l'impronta di quelle parole. Cosi av– venne che per questa parte di idillio pastorale, la letteratura per il Sannazaro Sii faceva nativamente vita, .epoteva tocca_,rela sua ispirazione di poeta di là dalla letteratura. E infine anche per lui, come per molti spiriti troppo coltivati di belle forme, la vita pastorale, anzi l'utopia poetica di questa, e perciò la passata poesia d~lla vita pastorale, è un music;alissimo rifugio. In Teocrito già ed in Virgilio i pastori eran let– terati di fatto: erano l'~spressione dell'idillio pa,storale al quale aspi– ravano i poeti, e questi finivano col confondere la loro persona con quella dei pastori. La vij;a pastorale si piace di un mondo rèso innocente, perché più vicino a quell'umanità lenta e felice ehe chiamiamo natura: lenta si che pare eguale e ripeta le sue forme per cieli e per campagne, le cui rivolu– zioni non vede l'occhio umano se non come quieti sonni e tranquilli ri– svegli: e il fi-' di Pietro Bernardone che invoca Frate -Sole, ridice incon– scio un accento di remoti secoli, °:ella genitrice India, che il sole come oggi sorgeva e declinava per sorgere ancora. E par che la poesia pri– migenia ricanti in noi per darci pace, con voce simile a quella che nella pastorale evangelica cantavano gli angeli « Pace agli uomini di buona volontà» : e par che evochi lo stesso volto del ·mondo che i pa– stori primitivi videro e i poeti favoleggiarono come età dell'oro. La patina letteraria di questa utopia pastorale .s'è fusa con la vita, e i campi sono ormai quel rifugio che i poeti han sognato. Nel fondo d'ogni uomo crucciato dal vivere c'è un sognante pastore lettérario. La vita senza le crude lotte con gli ubmifti, senza l'affanno delle molte notizie, senza l'intrigo e il raggiro delle corti e il turpe commercio privo di libertà, questa la sognata utopia: qui perfino la contemplazione del pensiero è senza tormento e nell'immergersi ed obliarsi tra le primi– geni~ fonti dell'universo, tra le forme più remote, le sole. che par con– servmo nella loro quasi inerte mutazione gli aspetti del primo tempo del mond_o,si dim~tica il_peso della dura .saggezza e dell'amaro piacere. Voluttà mnocente è la, vita pa-storale, sogno cui il poeta, dà forma e ,al quale al par~ di lui aspira il guerriero, il politico, il santo. ' BibliotecaGino Bianco
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