Pègaso - anno II - n. 10 - ottobre 1930
Come conobbi Achille Campanile 475 .Campanile ha conquistato una scrittura sua, una frase personalis– sima per mezzo della quale espone una originale visione della vita e del mondo in una struttura omogenea e compatta.- Via via sviluppandusi, egli •è pervenuto ad essere sotto i nostri occhi una vera e propria- maschera, una maschera tragica attraverso la qua-le la comune o banale vita borghese che ci circonda, sì ritorce, si dibatte e si divincola col suo esile corpo nell'impossibilità di sostenerla, o l'as– sume e ne fa pompa con una naturalezza, altrettanto sproporzionata, per cui ora ti pare di vedere depositare un baule o un sacco di carbone nelle braccia o sulle spalle di una gentildonna in abito da ballo, ora di vedere eleganti giovinotti pavoneggiarsi fieri e -sicuri d'una rosa o d'una gar– denia all'occhiello -mentre non ci hanno che un mazzo di carote o ,li cipolle, o di vedere uno che creda di avere in testa un cimiero o una co– rona da re e non ci abbia eh.e una padella sudicia, o il cimiero e la co– rona siano di foglio. È, questo del Campanile, l'umorismo tragico e tipico del tempo nostro in un campione dei più genuini ed intensi, che sviluppandosi ed evolvendosi sempre più invade e corrode il campo del dramma di cui conserva ancora, in fondo a.Ua risata, un senso di amarezza. Siamo lontani dall'umorismo dei nostri padri e padri della nostra prosa italiana; anch'essi facevano scaturire il riso dalle disgrazie, - che non è una fortuna a questo mondo essere cornuto o gaglioffo, - dalle disgrazie e dalle ipocrisie, ma erano disgrazie che racchiudevano uno scoppio di gioia fisica, di serenità sensuale o di sincerità, la gioia fino in fondo. Le belle madonne fiorentine, veneziane o lombarde, si concedevano _dolci e laboriose notti d'amore nelle braccia dei più intraprendenti P, fortunati amanti, e _alla barba dei più guardinghi e gelosi mariti; e gioconde brigate di giovani si prendevano per trastullo il più baggeo della combriccola. Si direbbe che oggi comico e tragico si contendono a palmo a palmo il terreno dei loro confinanti dominii, con invadenza evidente del primo, o che esso, in un'alterna vicenda, si riprenda posizioni che gli apparte– nevano. Già Alfonso Daudet fa morire il suo Tartarino solo e in esilio, di– menticato e abbandonato da tutti, e Dickens sente il bisogno di alternare alle comicis1;3ime avventure della sua comitiva, racconti di una dramma– ticità granghignolesca, creando grandi ombre alla limpida luce della sua prodigiosa gaiezza. L'umorismo del tempo nostro continua ad andare avanti su questo cammino e nel suo assorbimento dell'elemento tragico. L'artista pfù noto ed amato dei giorni nostri, Oharlot, amato senza distinzioni da vecchi e bambini, poveri e ricchi, colti ed ignoranti, non è che una maschera tragica. Ricor!'.lo, non molto tempo f;i, essermi accaduto questo fatto. Due amici erano venuti a trovarmi e parlavamo insieme del più e del meno, più del meno che del più; e ad un certo momento mi venne fatto, non so come, di sfilare da uno scaffale un libro e di mettermi a leggerlo. Erano le tragedie di Vittorio Alfieri che io leggeva a brani qua e là come BibliotecaGino Bianco
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