Pègaso - anno II - n. 10 - ottobre 1930
Addio alla Tina 467 Rimasi. L'aria rim.frescava ed ora mi sentivo bene su quel muric- , dolo. M'informai· mim.utaimèinte delle sue condizioni economiche, ò~lla capacità di la.vòro d'i Beppino e, ponderata ogni cosa, la consi– gliai di sposarsi. "Mi guardò con riconoscenza per questo mio CO[lSi– glio che la liberava da tante noie. Capii che la sua resistenza a spo– sarsi era derivata da uno scrupolo morale di tradire la nostra ami– cizia; ricordai infatti che molte volte s'era parlato im.sieme della bugia del matrimo[lio, e nel mio cuore le detti ancora della bam - bina. P.oi discorremmo dell'educazione e dei figli. Io non avevo neS– suna idea ben chiara iin proposito, ma m'incuorava il veder la sua faccia aJnimarsi alle mie par,ole. Prima di staccarci dal muricciolo ella mi strinse tutte e due le mani e si disse felioe d'avermi ritrovato amico [lell'interezza <l'upa volta. E felice ella era in realtà e, u111 poco maliinoooicamente, io ero anch'io. ~assammo la sera in villa col fratello e oon la cogmata. La tristezza si calò su di me gr,ave, d'un colpo, appena fui i111 treno. Ero stanoo di tutta la giornata. Il compartimento di terza in cui m'ero seduto, era lucido e puzzava di vernice. C'erano pochi viaggiatori. Le luci traballav,ano. Non mi riusciva di pensare a nulla di preciso. Tentavo di riafferrarmi alle sensazioni allegre e lumim.ose della mattina, ma inutilmente. Correvo anch'io, come il treno, in 1liil mondo buio, e il lumino che avevo dentro minaociava, a ogni scossa, di spegnersi. Fim.ché m'addormentai. Dovetti dor– mire pochissimo. U111 sobbalz.o, 1liil rumor di ferraglie mi svegliò. Luci, chiasso, grida, canti. Apersi lo sportello e soesi. iSu l'altro bi– lllario c'era un treno di soldati. Fucili, :fi,ol,'i, :fiaschi di vino. Presi ,per il braocio il primo soldato che mi passò davanti. Gli chiesi dove andasser,o. Non lo sapevwo, andavano al froiilte. Mi parve di de– starmi veramente, da 1liil lungo sogno. La mia realtà era quella. iMi si allargò il cuore. -Mi mescolai i:i,is.olò'ati filllché il mio treno si mise in moto. Vi saltai su, ò'al finestrino salutai col cappello quei miei fratelli che mi precedevwo di pochi giorni. - Arrivederci la ssù. - No111 ebbi più sonno. Il mio pensiero era tornato :fiducioso a.se stesso, alle immagint é ai sootimenti abituali di quei giorni. L'aria della 111otte,nella corsa del· treno, mi sferzava la faccia. Ritrovavo in essa l'aria della mattina oon l'uguale pi:i,lpito eroico. All'amore, alle donne, ai figli, alla quiete del vivere avremmo pensato dopo, se fossimo sopravvissuti. GIAN! STUPARICH. BibliotecaGino Bianco
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