Pègaso - anno II - n. 10 - ottobre 1930

Addio alla Tina 465 entusiastiche. Egli era venuto a occupare il mi-o posto in quella asa, dov'ero vissuto più d'un run!Iloaccanto alla Tina. Che cosa f~•sse successo fra lei e lui, dopo la mia partenza, non era difficile · 1 immaginare. Per disistima di se stessç1,per inco!I1scioabbrundono ella gli aveva ceduto. Delusa d'al mio calore oont®uto e riflessivo, ella s'era lasciat[J, prendere dalla vitalità focosa di lui. Chi sa ql!-runte volte poi ci aveva confrontati ed aveva misurato, 111el suo cuore, la vita sognata con me alla realtà in cui s'era buttata ooncedendosi a lui. Tutto, come io l'avevo intuito, era vero. Me lo disse, 1110111 appena la, inooraggiai alle co!Ilfessio111i con una cauta ma sensibile domanda: se forse io a quel tempo non l'avevo pienamente capita. (Melo disse oon tutta schiettezza, 00111 quell'abbandono 111aturale della dio111na .che si scioglie da ogni riserbo e non calcola più sull'effetto delle sue parole. Avrei dovuto capire dal suo to1110 con quale. distacco ormai ella considerasse la sua sconfitta e oome avesse superato passional– mente ogni rimpianto. Ma io vivevo appena allora dentro di me tutto ciò ch'ella aveva da runni già vissuto. Non provavo rammarico di non aveTla amata, m'accoravo d'esser stato tanto vicino a lei e dli 1110111 essermi aecorto dei suoi .sentimenti. E l'incomprensione passata mi faceva temere di non capirla bene neppure in quel momento. Le chiesi se soffrisse ancora per causa mia. Si meravigliò della do– mrunda; poi comprese e sorrise. U111a doniila oome lei non poteva amare che il solo uomo a cui s'era data. Rimrunemmo a lungo silenziosi. Io sentivo U1I1 peso sul cuore. Forse non avevamo più nulla da dirci. M;1 io ero venuto per par– larle un poco anche di me, per ra,ccontarle la mia vita in quegli ultimi mesi d'esaltazione e c,ome mi pareva 111ecessariae bella la guerra. Desideravo che m'approvasse e che s®tisse amche lei con me la felicità di poter sacrificare la propria vita. per un'idea .. ,Mi alzai e le proposi di camminare un pooo, per cambiar posto; là ilil quel luogo dov'era-va;mo seduti, mi trovavo a disagio, mi sentivo invaso da un torpore che m'annebbiava il cervello. Facemmo u!Il giro dall'esterno del paese e ripiegando sboccammo sul sagrato della chiesa. Il sole era già basso e illlo!Ildavai campi d'una luce gialla. Le piccole pietre del sagrato eraiilo d'Ulllc;:1,lòioolor di rosa e l'erba, cresciuta tra pietra e pietra, le attraversava con l'ombra azzurra, delicata, dei suoi steli più alti. Ci sedemmo sul muricciolo. Proprio di sotto c'era l'orto del parroco, pingue e ben lavorato. La Tina mi descrisse il buon prete che ogni sera, verso il tramooto (lo avremmo visto anche noi se ci fossimo trattenuti) usciva dalla chiesa e si fer– mava in mezzo al sagrato, rimanendo immobile, delle mezze ore, la faccia estatica rivolta alla campagn8!. Difficile a capire se quella fosse, vera estasi o stupidità; dal 111aso rubicood'o e dalla fr0111te oscura si sarebbe piuttosto creduto che fosse stupidità. Si rise in- ao. - Pèuaso. BibliotecaGino Bianco

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