Pègaso - anno II - n. 10 - ottobre 1930
l62 0. Stuparich forzoso; mi pareva che la ripresa sa_rebbe stat?' più god~bi~e: ave– vamo tanto tempo ancora da.vanti a 111-0i, per discorrere msrnme da soli. La coginata invitò la Tina C-On aria di e-0mando, a vestirsi e a scendere ché ma111cavamo dieci minuti per la colazione. Da come ' d" si guardarono mdovina.i i loro rapporti. La Tma doveva · 1sprezzare in fondo la moglie di suo fratello, ma le usava un riguardo fatto d'umiliazione e di riconoscenza. La cognata Ìlllvece la trattava.con una gramd'aria di protettrice, non priva forse di smcera benevolenza. M'avvid'i poi, a tavola, com'ella approfittasse d'ogni occasione per buttarle innanzi la sua generosità: « Sono io l'unica, fra tutte que-. ste italiane grette e provinciali, che ti capisco e ti difendo>>: sem– brava dire oon ogni sua frase e con ogni suo gesto. A tavola conobbi anche il fratello della Tina: un campagnolo (per quanto mi si fosse presentato come professore) dal corpo gigantesco e dalla bontà di– pinta sul viso. Tremendamente chiacchierone. Quasi tutto il tempo si parlò della guerra. Dovetti ammirare la tedesca che seppe da sola tener fr.onte, con argomenti e C-On chiarezza, a me e a suo marito: alle mie ra,gioni fra timide e riguardose, lo capivo, ma alle cateratte eloquenti ò'el marito non la credevo capace. Ohi sa quanto mi sarei goduto il battibooco pittoresco fra quel toscano grosso ed ingenuo e quell'asciutta donna di Germania, Ìllltelligente e ostinata, se non fossi stato distratto dal pensiero della Tina. La Tina parlò pochis– simo e fu un bene che fosse lasciata ÌIIl pace. Mi meravigliai soltanto ch'ella stesse impassibile anche quando io dissi, per la prima volta, che sarei partito per il fronte. Nel dirlo mi volsi a lei, ma n01I1 la vidi commuoversi per nulla. Dopo colazione uscimmo noi due soli. Si camminava silenziosi nell'atmosfera argentata dell'oliveto. Avevamo fatto molte passeg– giate insieme, io e la Tina, ma sempre i:n compagnia di'altri amici. La Tina, allora la oonsideravo oome un camerata. Ora i111vecera pro– prio una d-OIIlna quella che mi camminava a lato. Di tanto ÌIIl tanto la lasciavo precedere un poco, sull'angusto sentiero, per osservarla. Mi riempiva di commozi01I1e quel suo corpo, sul quale il vestito ca– deva ampio e ricco e le chiazze d'ombra, e di sole mettevano 1no1n so che delicate variazioni, attenuandone arm01JJ.iosaimente i movimenti. Tutto un 1nuovo accordo di proporzioni. Una volta, da fanciulla, sotto la vita corta le si allargavano smisuratamente i :fi.amchi e, 111èlle vesti attillate, la sfiguravano C-Onun rilievo grossolamo e violento. Ora tutta_ la sua figura appariva più equilibrata e più morbida. « Fatta per esser mamma)), pensavo. E glielo dissi; per cui mi si volse con un sorriso di felicità. Mi parlò dei doveri materni come lei li sentiva. 001JJ.sideravala creatura che avev!l, nel ventre, C-Ome UIIl essere già staccato da lei e per cui bisognasse avere tutti i ri– guardi. La sua tenerezza per quella creatura era tanto viva che la comunicava anche a me. Com'erano diversi, tutti sospesi in altre BibliotecaGino Bianco
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