Pègaso - anno II - n. 10 - ottobre 1930
458 G. Stuparioh i giorni. ,Ma lo disse con mn'aria come se ciò le facesse il. più gmn piacere di questo mondo. La scrutai, ~erché_forse no1;1 l~ 11I1te~devo bene. Sorpresi una luce cattiva nei suoi occhi. Immag11I1ai la disgra– zia del fratello della Tina d'a,ver sposato una tedesca, e l'inferno che questa gli doveva mettere allora in casa. Non so perché, dopo averla guardata negli occhi, mi si presentò vivo il ricordo d'una bionda domatrice 111ordica,che avevo visto tanti amni prima in un circo: indossava calzo111i neri, stretti alle ooscie, e teneva in mamo voluttuosamente una frusta; 111egli occhi le brillava il lume d'un odio freddo e imperioso. · La Tina era a letto. Tamto beUa., che avrei voluto che tacesse e che stesse così ferma hingo tempo, perché io potessi saziarmi d'am– mirarla. Il sole entrava i[l quella camera dalla :finestra sp,alamcata, e vi si polverizzava sopra tutti gli oggetti. In un angolo di luce tram– quilla c'era il letto. Sui guanciali, appoggiata col busto e con la testa, la Tina. Aveva i capelli lucidi spartiti come sempre, soltanto invece delle chiocci-Olesugli orecchi, due trecce lungo le guance e, dentro, u111 viso smagrito e pallido, con l'espressione d'una Ma– do[lna. Ma non era più la Tina che avevo conosciuto io, era un'altra; una don[la che m'intimidiva. Tutta la mia sicurezza d'un tempo di fronte a lei se n'amdava. Anche quamdo cominciò ·a parlare, tutto m'era nuovo in lei: la calma della sua voce, l'uguaglianza malin– CO[licadel suo viso, la stanchezza dei suoi gesti. No111 capivo più che oos'ero venuto a fare lassù. Non certo a i111namorarmi, proprio ora ch'era il momento di dar tregua a tutti gli affetti e, se mai, di troncare quelli appena spuntati. Mi pareva d'esser venuto su pre– parato a tutt'altri cimenti. Annaspav,o nei ricordi. Cercavo dispe– ratamente il modo di far sentire alla Ti[la che le volevo sempre quel bene di prima, ma 1110n ci riuscivo. Anzi ,rend~vo amcor più insop– portabile l,a situazio111eavviluppandomi in mn falso tono e in una convenzionalità che facevarr10rabbia a me stesso. Perfino il «tu)> che m'era rinato così caldo e spontaneo nell'immaginare il nostro nuovo i111contro, ora, alla sua ,presenza, facevo un gramde sforzo per mamtenerlo; mi sarebbe venuto più istintivo il darle del «lei)). E . _la paura ch'ella potesse accorgersi di questo mio mutamento m'im– barazzava fi,noalle lagrime. N,on voglio 111ascondere che quella do[lna a letto turbava i miei sensi, ma più che i miei sensi mi faceva soffrire la disarmonia. Lei dovette accorgersene ; ma, o che fingesse di no[l accorgersi o che le paresse assai naturale ch'io fossi, dopo tamti anni impac– ciato a quel modo, rispondeva alle mie frasi convenzionali co~ schiet– tezza e semplicità accoglienti. Anzi, come cresceva il mio imbarazzo _e infittivano i miei freddi silenzi, il suo calore aumentava. E in– tanto mi veniva racoonta,ndo dei fatti che a doverli rincorrere riaf– ferrare e C-O!Ilrnettere sarebbe stata un'impresa disperata. Dapprima BibliotecaGino Bianco
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