Pègaso - anno II - n. 9 - settembre 1930
F. MAURIAC, Oe qui était perdu 379 a spiegarlo e a capirlo. In Francia i critici, girandogli attorno hanno parlato di opera di transizione, di terza maniera; e Thibaudet 'del cui gusto c'è ben da fidarsi, l'ha dichiarato senz'altro ùn capola;oro. Ma in più d'uno .di quei critici, anche bravi e preparati si capiva che a - . . ' una comprensione piena mancava proprio« ce qui était perdu ». L'opera ha un c~iaro intento di apologetica e di propaganda, e bi– sogna pertanto considerarla sotto questo verso. Si potrebbe chiamarla il « romanzo della disperazione moderna». In essa sono sviluppati e drammatizzati quegli accenni teorici sul « trou béant » e « l'absence in– finie », che Mauriac •già faceva nel suo libretto su Marcel Proust, e qual– che mese fa ripeteva, più ampi, più fermi, nelle Paroles en Espagne. Stanno di fronte nel romanzo, in contrasto, ma in intima dipen– denza, il mondo della « sale noce» e il mondo della consola.zione cri– stiana. Viziosi e gaudenti si danno di gomito con santi e chiamati; e la grazia cli questi illumina cli speranza la miseria degli altri. Il motivo è vecchissimo e tradizionale nella letteratura francese. È l'eterno contrasto del bene e del male, della virtù e del vizio, del– l'anima e del corpo. L'ardimento sta nell'averlo ripreso con tutto il suo senso antico e drammatizzato nei suoi termini estremi e irriducibili in un mondo da « Boeuf sur le toit » o da « ,Soleil de minuit ». Agli effetti letterari, la prova poteva fallire a uno scrittore di menl) addestrata perizia. Ma il Mauriac ha dietro di sé l'esperienza di dieci romanzi, nei quali ha sempre cercato di scoprire, sotto il fango e la di– sperazione cli cui volentieri ricopre i su,,oipersonaggi, il barlume di una speranza che sia via aUa salvezza eterna. È noto, - e s'è detto anche qui sopra, -· che questa sua insistenza nel ritrarre il male, questa spe– cie di deleotatio morosa con cui aguzza gli occhi nella lorda pozza del peccato, non ha sempre conciliato pacifici e unanimi consensi intorno alla sua qualifica di scrittore cattolico. Anche il nuovo romanzo, sotto questo aspetto, non è certo tale da estendere quei consensi; ma in esso, per compenso, alla pittura del male è contrapposta con più nettezza, l'esaltazione del bene; o meglio, del male, non solo in sé, ma nel con– trasto col bene che gli ~ messo accanto, è reso più evidente il senso ne– gativo, di colpa e di mancai11za. Non che questo avvenga per vicende esteriori. Le vicende esteriori, qui dentro, sono ridotte al minimo; non accade quasi niente nel romanzo ; la storia dei personaggi che lo popo– lano si svolge da ciò che essi hanno in sé e da ciò che hanno vicino, per sviluppo e per contatto. In questa rarefazione, in questo scarnimento, in questa maestria e dominio degli elementi che compongono la nar– razione si giusLifica certam!èlnte il giudizio del Thibaudet. Si può dire anzi d/ più : questi elementi che concorrono a un risultato di tanto pre– ofo considerati da vicino rivelano evidenti derivazioni. Vi sono, per :se~pio, tra i personaggi, un fratello e una sorella. Sui _loro rapportir l'immaginazione turbata e viziosa di un altro personaggio mette l'om– bra di un sospetto, ch!èlpotrebbe richiamare l'atmosfera torbida di En– fants terribles del Cocteau. Ma non si tratta di que~to: frat~llo e sorella~ per tantissimi aspetti, ripetono Edwa.rd e May di La ohair et le sang dello stesso Mauriac · e il Claudio di quel lontano romanzo qualche parte di sé l'ha pur data a' formare, nel romanzo nuovo, Alain; il quale, nella. Bibroteca Gino Bianco
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