Pègaso - anno II - n. 9 - settembre 1930

G. CAPPONI, Storia delllt Rep11bblica. ni Firenze %5 di Pisa, da parte di Firenze, perché la Uhiesa era scissa per lo scisma. Così l'attribuire i progressi del Comune nella sua fase ascendente alla partecipazione di tutti i cittadini agli affari dello Stato, e la deca– denza al prevalere di frazioni oligarchiche e alle cattive leggi. Tuttavia non è Senza importanza sentire da lui che, se quella decadenza avrebbe abbisognato pei nuovi tempi di nuove forme, queste non erano da ricer– r.arsi, come molti si illusero, nella costituzione veneziana. Giudizio che viene a colpire in pieno i governi dell'ultimo periodo della repubblica e specialmente il savonaroliano. A proposito del quale, il Capponi oppor– tunamente scinde il lato politico da quello religioso. Del Savonarola egli non può non ammirare il forte ingegno, la virtù morale, il fervore di fede, sebbene sian pregi che trovano un contrappeso nel « cuore bol– lente » e non di rado anche nei « sogni della fantasia» ; ma quanto al– l'uomo politico, c'erano in lui difetti troppo gravi. « Non era la sua di quelle nature che sieno atte a fare nel mondo le novità grandi, perché in tali uomini la volontà forte è necessario che sia anche fredda e che adoperi le arti capaci ad ottenere il fine voluto». Non dimentichiamo che il Capponi era un savonaroliano. Insomma se egli non può liberarsi del suo abito guelfo, encomiastico delle antiche libertà repubblicane, moralistico anche oltre il comporta– bile (curiosa, per esempio, l'idea di un ripiegarsi della letteratura dopo Dante come conseguenza del decadere dei costumi), ha però il senso storico della giustificazione dei fatti, anche quando viene a trovarsi in contraddizione coi suoi postulati. Quanti biasimi e oltraggi non furono scagliati contro il principato mediceo dagli storici guelfi, perché liber– ticida e tirannico ? Ebbene, il Capponi non s'imbranca. Sì, neppur lui può negare che la vigoria del popolo di Firenze è decaduta e la storia sembra però.ere di grandezza. Però, soggiunge, « è gloria di questo popolo avere temprato a se medesimo quella signoria che ad ogni modo qui e ùappertutto voleva ristringersi e che uscita dal suo proprio seno, lascia– vagli pure ampiezza di vita: signoria tanto più onorata quanto era più cittadina» (II, 78). Cosicché per il Capponi la caduta della repubblica non è quel cataclisma che altri storici vollero vedervi; egli tende anzi a giustificarla come necessità dei tempi e come crisi inevitabile per la ricostituzione unitaria dell'Italia. Quando questa Storia fu pubblicata la prima volta, un critico be– nevolo scrisse che era destinata a vivere; ma no,n aggiunse per quanto -tempo. Neppur io lo dirò, perché non è facile in queste cose esser pro– feti. Certo essa non è morta ancora e troverà sicuramente lettori, che la apprezzino e 1~ gustino. Col Davidsohn siamo sotto altl'o clima. Egli non ha in comune con lo storico guelfo che una cosa sola : l'idea che la storia di Firenze tocchi l'apice della sua grandezza con i tempi danteschi. Il Capponi scrive: « Con la morte dell'Alighieri finivano (a così dire) i tempi eroici della storia di Firenze e insieme finiva il tempo eroico delle lettere». Il Da– vidsohn: « La primitiva Firenze del Duecento e dei primi decenni del Trecento, a paragone con quella dei secoli posteriori, è la veramente caratteristica e originale». Le ragioni dell'uno sono diverse da quelle BibtiotecaGino Bianco

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