Pègaso - anno II - n. 9 - settembre 1930
364 G. CAPPONI, Storia della Repubblica di Firenze studi si rivelassero lacune e manchevolezze nella sua opera, la, quale, frutt~ dell'età senile, era stata da lui dettata e non scritta, perché col– pito da cecità. Ora si può anche pensare da molti che i due volumi del Capponi siano da relegare tra le Storie che hanno fatto il loro tempo e possano soltanto servire di ornamento a una buona biblioteca. Io non credo. Nes– suno studioso certamente vi andrà a cercare notizie o li citerà; ma an– cora si possono leggere e si leggeranno. La signorilità dell'esposizione che cerca di ispirarsi ai classici della nostra storiogTafia, la forma im– peccabile, la ricerca qua e là dell'effetto, il tentativo di drammatizzare talvolta gli avvenimenti per tenere avvinta l'attenzione del lettore: questi ed altri pregi attendibili più da noi abituati ad una piatta e tra– sandata letteratura storica che dai contemporanei del Capponi, fanno dimenticare ciò che di quell'opera è morto dopo le lunghe e laboriose fatiche degli storici posteriori. Ma la storia, fu osservato, non è nudo fatto; è anche pensiero. C'è un pensiero nella Storia del Capponi? E qual'è? Anche qui i critici esa– gerarono. Quella supposta obiettività, che per taluni fu pregio, per altri difetto, in quanto lo scrittore, per troppo attaccamento ad essa, avrebbe costretto la sua anima a tacere, assumendo dinanzi ai fatti narrati l'im– passibilità d'u_p_notomizzatore di cadaveri, in realtà non sussiste. L'importanza e il rilievo dati a certi avvenimenti in confronto di altri; l'accentuare o smorzare a tempo e luogo le tinte; i giudizi tacitamente sottintesi in una frase o inciso all'apparenza insignificanti, e specialmente le non infrequenti soste e digressioni per manifestare, a forma di commento, la propria opinione, svelano anche troppo il senti– mento dell'autore. Il pensiero dello storico, se non avvince e domina l'opera nella sua unità, vi si riflette a scatti nei particolari; ed è il pensiero d'uno storico guelfo. « Poco fece la Toscana, parlare di sé in– nanzi al Mille: poi la dominazione potente e simpatica della contessa Matilde chiamava l'antica gente, a contrapporsi alla germanicà preva– lenza; talché si può dire questo popolo essere stato fin d'allora guelfo, in quanto ch'egli era difensore degli uomi:ni e delle forme e tradizioni nazionali contro ai J!uovi ordini che seco i barbari conducevano J> (I, 304). Identificazione di guelfismo e coscienza nazionale con retro– gradazione di un secolo; e il guelfismo tenuto in cosi alto concetto da costituire un carisma. politico capace di distruggere anche i contrasti ili casta. «Il nome guelfo, come era inteso nella Toscana più che in altra provincia d'Italia, questo aveva fatto, che da principio nobiltà e popolo·· nella comunanza d'un affetto nazio:nale si fossero molto l'uno all'altro avvicinati e in qualche parte insieme confusi J> (I, 80). Un parallelismo tra parti politiche e classi sociali per il Capponi non c'è, almeno in principio. Sono di fronte partigiani del Papato e partigiani dell'Impero: soltanto tardi, quando il Comune è al tramonto dei « tempi eroici», il conflitto. si trasforma; ma allora sono già co– minciate l'involuzione e la decadenza. La tesi s'appoggia a prevenzioni, di cui gli studi successivi faranno ginstizia. Cosi l'idea che guelfismo e devozione alla Chiesa siano una sola cosa, tanto da non doversi considerare vittoria guelfa l'acquisto BibliotecaGino Bianco ·
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