Pègaso - anno II - n. 9 - settembre 1930

T. FIORE, La poesia di Virgilio 361 Ioni, e poi, finito il suo lavoro, trascorre leggero sulle ruote del cocchio a fior d'acqua. Così il critico trova brutta la scena tra Vulcano e Ve– nere nel libro ottavo, perché, sviato dietro il Cartault che vorrebbe . . . ' amm1rarv1 una scena d1 commedia (trovare l'h1tmour in Virgilio è Ja curiosa fisima di certa critica francese!), ma fornito di tanto buon gusto da ~on _riuscire a trovarvi la comicità, finisce per non trovarvi più nulla. Se 11F10re avesse tenuto presente, accanto'alla scena virgiliana, il libro quattordicesimo ùell' Iliade a cui il poeta s'è ispirato avrebbe certo ofo. ,. ' "' c,1cato quella scena inferiore ad uno dei fiori più belli della più squisita arte omerica, ma avrebbe anche trovato il tono giusto per giudicare di un 'arte di questo genere con più leggerezza. Questo vale, in generale, per tutte le scene di dèi in Virgilio. Se il Fiore si fosse limitato a dire che gli dèi virgiliani parlano spesso assai più che non agiscano (gli dèi omerici parlano molto, ma agiscono anche molto), e i loro discorsi sono sempre ben fatti, forse troppo ben fatti (non era poi interamente sciocco colui che si propose il curioso problema Vergiliu,s poeta an orator), avrebbe avuto ragione. Ma egli ha la mano insolitamente pe– sante; e parla di «trappolerie», di « comari del cielo>>: espressioni grosse, anche più inopportune che sconvenienti. Gli dèi di Virgilio sono uomini dalla vita un po' evanescente trasportati nel cielo. Conservano le loro passioni umane; ma niente è tragico, niente è terribile. Non av– viene forse lo stesso nell' incomparabile libro quattordicesimo del- 1' Iliade ? O il Fiore vorrebbe condannare anche quello ? Così, il critico ha mille ragioni di reagire all'esaltazione tradizio– nale di Virgilio poeta civile e patriottico.: la gloria di Virgilio è altrove. Ma ha torto di condannare in blocco tutta la descrizione dello scudo. Io son disposto ad abbandonare alle critiche aspre di Concetto Marchesi e sue il pezzo di bravura della battaglia di Azio; ma la lupa fresca di parto che accarezza con la lingua nella verde grotta i gemelli, il re Tullo che sparge i pruni del sangue e delle membra del misero Mettio, i Galli che assaltano di notte il Campidoglio, sono rappresentazioni so· brie e potenti che fanno pensare a un Virgilio poeta eroico. Una certa incapacità del critico a intendere sentimenti graziosi e leggeri lo renùe incapace a sentire la poesia delle Bucoliche; e questa parte del libro è la meno riuscita. Le Bucoliche sono poesia raffinatis– sima, ricca di frammenti bellissimi, ma frammenti. È l'opera più alessandrina di Virgilio; e per intenderla occorre, prima di t11tto, assai maggior simpatia per l'alessandrinismo che non abbia il Fiore, il quale non allude a quella poesia se non vagamente, e sempre per dirne male. E occorre abbandonarsi alla lettura delle Bucoliche con una certa leggerezza di spirito, una certa disposizione alla réverie : così soltanto potranno piacere le svagate e dolci fantasie virgiliane. Arriverei a dire: intenderà meolio le Bucoliche chi non le prenderà troppo sul serio, come "' . fa il Fiore. Anche l' Arninta del Tasso è un capolavoro, per chi sa leg- gerlo ·e gustarlo con ingenuità, e sia pago di quello che ci trova e si goda l'idillio senza cercare né dramma né dramatis personae. Il Fiore vuol trovare il motivo centrale di ciascun'egloga; e naturalmente non lo trova. Ma intanto non s'accorge che il poeta ha mormorato al suo orecchio poesia bellissima e dolcissima, ch'egli non ha intesa. Per esem- Bibli'otecaGino Bianco

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