Pègaso - anno II - n. 9 - settembre 1930

Il poeta Palazzeschi 345 versificazione_ che, libera·e mos a, pur ubbidiva a una le•10e. Chi . e lo aspe~tere?be_ m Palaz~e~chi ince~diario ? ~enati, senari clo~ 0 pi, novenari, versi c3:ri a1 7 om~ntic1,, con gli accen~i giusti, cadenzati, e senari e novenari congrnnti, dov_er_a,forse che 11 Serra avvertiva un tal quale argomento d'esametro lontano. Lo vedevi ogni tanto, per stordire il let– tore_, il l~ttore comune, allinear le parole una sotto l'altra,, a divorar le ~agme bianche,_ ma alla fin~ i versi si r~componevano da una parola al- 1 altra, perfetti. Così faceva Ungaretti tendendo al settenario e al– l'endecasillabo (« Si sta - Come d'autun~o - Suo-li alberi - Le foo-lie»: « Si sta come d'autunno - ,Sugli albel'i le foglie~- « M'illumino _ 0 D'im– menso »: « M'illumino d'immenso». « Una - A una - Si svelano - Le stelle»: « Una a una si svelano le stelle». « La terra - Sloga - In un granµe arco teso » : « La terra sloga in un grande arco teso ») a una forma cioè di verso la più naturalmente melodiosa e d'una li~ eatu.ra mobile e lieve; così faceva Pala.zzeschi, tendendo ;, un tipo di versifi– cazione differente, secondo il suo genio di vivo rappresentatore. La ver– sificazione poi cli Ungaretti s'unl, con più rigore; quella di Palazzeschi si sparpagliò con incredibile licenza: ~ nacque un discorso prosastico,. per lo più dialogato, o, dov'erano sempre versi, con accenti quieti (il senario si fece sordo e corrente, da « Comare Coletta » di prima, a « Che ti fa bruciare», « Ch~ t'ha fatto male», « Tante stelle rosse»; il nove- - nario, tanto meno ondoso e più piano, da « Sull'acqua del fiume tran– quillo », a « La rosa bianca del guanciale », e< Che ti stringi forte alle tempie», « Nel cielo denso· d'amaranto>>; e novenari ancora, di cui si perdeva subito anche il ricordo in una progressione di sillabe quasi ero lege, « S'è rotta la cartavelina gialla, del cielo>>, « Son rotolate sulla terra azzurra della via >>). Ma se, come s'è detto, i suoi versi, anche i primi, non scopriva-no che un'idea cli moto, e trovavano appoggio sulla realtà, non la soda realtà, con figure, vicende, passioni, ma un'altra, tutta scoppiante d'un esterno crepitio; guardiamola un poco da vicino, questa realtà. Nel regno di Palazzeschi tutto si muove, nulla agisce. Capovolgendo i fini del mondo dannunzian~, egli se ne prefisse altri, senza quasi senso. In lui perciò quel muoversi è un muoversi assurdo, svuotato di sangue, proprio come le sue creature, e le azioni e i noini loro .. Anche i nomi. Quanti ne ha inventati Palazzeschi !, semplice musica-, suoni da svegliar le fantasie, belli d'una bellezza di nulla,(« Oro Ror >>«Rari Or>>« Ara Mara Amara» « Oro Doro Odoro Ododoro >> « Rio Bo >>« Kirò >>) ; o altri, con un sottin– teso scherzo ironico ( « Il Principe e la Principessa Cocchio di Chio– dino»). Ma tutto vago, tutto indeterminato, senza impegnarsi: e senza prender di petto il lettore. Solo richiamandolo pian?'mente, per por– tarselo con sé, a vedere con i suoi occhi. « Essere musica o colore, Non più povera carne delle strade», dice una volta d~lle suore del Monas~ero di Maria Riparatr-ioe : e tu non cercar altro dietro quel colore, d1 là da quella musica. I fatti, del resto, parlano per sé. Nel suo m_agico mondo due cose regnano: la fissità assolut3: ~ il mot~ assolu~o. Città e case non abitate da- nessuno, o da, vivi non VIVI; parchi serrati, ma c~me se non avessero confino, perché dentro un~ vi corre e !l?n. tocca ma,1 la meta : laghi corsi da una lancia, una lancia sola, veloc1ss1ma corrente, blrotecaGino Branco

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