Pègaso - anno II - n. 9 - settembre 1930
344 G. De Robertis • pagnato da ogni senso, di strettissimo gioco : sviluppi su parole insulse, e magari una parola sola,, ripetuta senza fine, e che, se non dessero brio, darebbero ossessione, e forse danno un ossessionante brio. Rossini, nel– l' ltaliana in Alger-i, trovò il modo su quattro povere sillabe, pap-pa-ta-oi, d'incominciaJ' prima, e poi sfrenare e precipitare, senz'essere mai sazio, una stupefacente cantilena che, dir che diverte sarebbe dir poco. Suscita, in chì ascolta, confuse immagini, più una confusa allegrezza è tutto un sommovimento dell'essere. 'l'u vorresti alzarti, e muoverti; e certo, se– duto, ti muovi; e dai noia al vicino che già ne dava a te. Palazzeschi forse partì di 11.Volle, in poesia, rifare quel che la musica, appoggian– dosi alle parole, e nel tempo stesso eludendole, perché eran parole, in fondo, senza senso, avea già fatto. E se si pensa al gusto di Palazzeschi per altre forme, sempre musicali, e non, proprio, vorrei dir deteriori (certe canzonette napoletane valgon più cli tante opere d'oggi facilissime e correntissime); alle canzonette napoletane appunto, quelle di più r,o– lore, frenetiche·; e, magari con una intenzione di riso, o di malinconico affettuoso riso, alle romanze di sapore antico, che piacevano e ancora piacciono a tanti, anche se un poco stanche e lente e perdutissime : se a tutto questo si pensa, si può avere forse un'idea, passabile di quel che voleva essere e, fin dal principio, fu la poesia cli Palazzeschi, che sopra modi fantastici, d'una fantasia, a volte, inconsistente, tendeva a susci– tare immagini per nulla inconsistenti. Scava scava, sotto vi trovi una ragione ben lontana, e perfino un valor sociale. · In lui si consuma, come in un rapido fuoco, tutta l'eloquenza dan– nunziana, l'eroico dannunziano, quel tendere, che è dei personaggi dan– nunziani, ad ardue cime, senza loro vera grandezza. La prepotenza ora– toria di quella poesia, dov'era meno poesia, e che appunto trovò più accoliti, in Palazzeschi è rovesciata. I «crepuscolari))' a.Ua fine, vissero tutti alla mensa dannunziana, contentandosi certo di pochissimo, di nulla; ma quel pochissimo, quel nulla, accattato con poca fame, masti– carono tra riso e pianto, e corsero le facili parole dei versi facili in strofe facili. Palazzeschi, no. Già i suoi precedenti letterari erano altri. A sent irlo, come lo sentii io allora, cantare e recitare certe c8'nzoni, in stra.de segrete, accompagnandosi, come sempre faceva, con gesti appro– priatiss imi, dove quei ritmi si continuavano, trovando un inaspettato commento, si sarebbe avuta la riprova di quella segreta ragione alla quale la sua poesia tendeva-. 'rendeva cioè alla ~appresentazione, sconfi– nando, ogni volta, dai metri e dalle strofe. In certe libertà, a,d esempio, di versi prolungati, era come diping~re il gesto, (così, dopo tanti suoni netti, andanti, un'uscita come questa: « E per tutti i giorni di tutte le.settimane», detto in un fiato solo; o, sul principio, fermarsi, in .figura proprio d'attore che ammicca con l'occhio e, mettiamo, si tira indietro da una parte, a scoprire il cuore, uno dei petti della giacca preso tra il pollice e Ì'indice ... : « Sguardo di purità » ; o commentare, meravigliato : « Orribilmente decaduta però»; o ancora, affermare sottilissimamente: « Certo certissimo» ; e interrompersi: « Ma quello che più rabbia fa» ; e cerca che troverai); e c'era il senso dei sottintesi, e il riso, e un con- ' tinuo moto, vario, pittoresco, tutto riportato al reale. Gli effetti umo– ristici insomma quasi sempre non erano che stridori e infrazioni a una BibliotecaGino Bianco
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy