Pègaso - anno II - n. 8 - agosto 1930

Cesarino in vacanza , 203 . inon pareva curarsi gr3.llleh~. A1J1dava vamti trasogmilrta, spiegando quasi per dovere, sbagliando nome, attribuzione, dicendo che c'era stata tante volte, ma che non ricordava mai.. .. Le sale erano oscure, fredde, tetre. I pochi guardiani parevano còmiinciare u!tlosbadiglio la matti1J1ae finirlo la .sera. Tentavano col forestiero alcune parole che cadevano nel nulla._ Venivano dietro dietro come ombre. Qualche lucernario faceva piovere una luce falsa, colata attraverso sporcizie e ragnateli. I quadri oscuri, stuc– cati per l'inedia, quasi vergogmosi, mostravano passioni, atteggia– menti, garbi che il visitatore disattooto degnava di u1J10sguardo che li riempiva .à.i vergogna. Era come entrare in_un cimitero dove i oorpi hanno conservato ognuno la posizione in cui li colse la morte. E se 1J1e provava un senso di pietà e di raccapriccio .. Una noia, una voglia prepotente di uscire all'aria aperta. · " - Bello, bello, non è verò ? - diceva Pina senza convinzione. Ma guardava lui e non il quadro. Infastidito per quegli sguardli impor:tu1J1i come u1J1amosca che torna sempre a posarsi sulla fro1J1te, Cesarino l'avrebbe creduta più ragionevole. Voleva, dirle qualcosa di persuasivo e di definitivo. Ma la ragazza,, diceva, trasogmata, con abbandono: - Scusa, non capisco più nulla .... Non faceva più quei discorsi pratici del gio:ìlno prima, quei di– scorsi che portavano a una mèta precisa, !Jléaveva quelle cure amo- -revoli della sera, quel sens•o invadente, ma tenero, di protezione il– limitata. Era subentrato in lei un sentimento egoistico, disperata– mente. Cesarino ora la guardava supplichevole perché capisse un momentino, un momentino solo, di lasciarlo in pace. Lei non-:ca– piva piri nulla. Era un risucchiamento, un· Ì!Jlcubo. L'avrebbe ri– dotto al lumicino. Non importava. Non poteva farne a meno. Fu davanti a un quadro con tre santi guerrieri che avaJI1zava1J10 armati di spade, un capolavoro del Caroto, in una nuda saletta appartata che Pina, la quale gli stava davanti, s'abbandonò contro il petto di Cesari1J10.Era un incomodo arrabattarsi. E quelle gen-· give dìa,cce ! E neanche una panchina. Nulla. La saia nuda, le pa– reti scusse. E quei tre angeli che ava!Jlzavano sempre àrmati <lJ sci- . mitarra. E il pittore che si chiamava Caroto ! Potere almeno con– centrare tutta la propria forza in un solo gesto : respingerla lontano con violenza. Respingerla contro il quadro del Caroto perché lo sfOltldassee vi sparisse dentr.o. Si dominò. La gual'dò- freddamente, poiché Ì!J1 quel momento l'attraversò un pensiero. Era vero? Era fa1J1tasia? No, ora ricordava,· era vero verissimo. Lo zio .Saverio e la zia Berenice s'erano un tempo :fidanzati proprio in quel museo, forse davanti alla medesima pittura che aveva veduto gli abband!oni di Pi1J1a;e forse la zia Berenice s'era buttata alla medesima stre– gua nelle braccia capaci e melodrammatiche dello zio .Saverio. ,Ma Pina forse aveva capito qualcosa. Pareva calpestata e vo- BibliotecaGino Bianco

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