Pègaso - anno II - n. 8 - agosto 1930

Laudato si', mi' Signore, per .... _ 173 ester,na del cantico· oo,n maggior copia e con maggior _precisione di dati. Per quel doppio motivo si è creduto d'ai più di trovare riflessa nelle pagine delfo Speoulum la concezione geinuina dell'Assisiate e su di esse sono state costruite quasi tutte le trattazioni moderne : come se l'abbondanza dei particolari fosse sempre un indizio d'infor– mazione ·profonda e come se non fossero frequenti in ogni tempo i casi d'incomprensioine di un gramd'e spirito da parte dei compagni a lui materialmente più vicini. Per l'autore dello Speculum Dio « è lodato nelle sue créature )). Ecco le meschine parafrasi con cui interpreta la nostra laude e ch'egli mette, ahimè! nella bocca <lel Santo : « Voglio in lode d'Iddio e per nostra consolazione, nonché per edificazione del prossimo, fare una novella laude sulle creature del Si,gnore : creature di cui ci gioviamo quotidia<namente, senza di cui non potremmo vivere, ed in cui il genere umamo molto offende il Creatore. Di continuo infatti ci mostriamo ingrati verso favori e benefizi si gramdi non lodando come dovremmo il ,Signore, crea– tore e datore di tutti i beni>>. Ed amcora : << Al mattino, quando spunta il sole, tutti dovrebbero lodare Iddìo che lo ha creato pel nostro bene: ché da esso durante il- gior1no i nostri occhi ricevono luce. La sera poi, quamdo si fa notte, og,nwno dovrebbe lod'are Iddio per fratello fuoco: ché da esso i nostri -occhi ricevono luce duramte la notte. Poiché tutti noi siamo come ciechi e il Signore per mezzo di.questi due ,nostri fratelli dà luce agli occhi nostri. Perciò per essi specialmente e per le altre creature di cui quotidianamente ci gio– viamo dovremmo lodare esso O1·eatore )). L'interpretazione ora esposta, benché indubitabilmente la più ovvia, non poteva s-oddisfare tutti i lettori. Se veramente, come se mbra ai più, il poeta, c,ol versetto finaJle, chiama tutte le creature a, canta.re la gloria d'Iddio, doveva parere più naturale che già nel - resto del cantico le creature stesse partecipassero più direttamente alla lode, che fossero già, in qualche modo, degli strumeinti, delile voci. Va aggiunto che il gloria con cui s'apre l'inno afferma che a Dio soiltanto convengono fo lodi e che l'uomo non è neppur degno di nominarlo: sarebbe abhast:mza strruno, dopo tali premesse, che ci fossero nel cantico altri lodati all'infuori d'Iddio e che la lode venisse fatta direttamente dall'uomo. È stato pertanto proposto (si veda ad! esempio il Manuale della letteratttra italiana del D'Ancona e Bacci) di vedere nel cu,n) 'llOn un'idea di comprugnia, ma di mezzo e di spiegare il per come un sinonimo di m,ediante) di per mezzo di. Il poeta verrebbe a dire: « Non sono io, indegnissimo, che possa dire le tue lodi. Mi serva d'interprete la creazione. La mia lode ti giunga per il tramite di frate sole, di sora hma ecc.)). Non si poteva 1110n pensare, una volta messi su questa via, che aJl posto di c1tn e di per star·ebbe benissimo un da. Un sottile com– mentatore del cantico, Alessamdro Beroardiilli, osserva difatti : « se · BibliotecaGino Bianco

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