Pègaso - anno II - n. 8 - agosto 1930

164 S. Benco uomo sooza religione, ma non irreligioso», osservava già il buon Francini che lo conosce come pochi. Così in tutto questo libro empio e ~arcastico v'è la sensazione di un abi~s.o di yrofondo mi– stero, dove sta qualche oosa a che Joyce tenta d1r1gers1 oome al polo di un'oscura fede. Il moodo, così frastagliato, pure è costrutt:o, Non esiste disarmonia. Il mondo canta. I oootrari si conciliano. Nell'av– viluppato caos fanno chiarità e ordine certe cicl~che leggi. In trasmutazioni di luoghi e di tempi, si ripetono gli stessi destini, gli eterni ritorni dello spirito umano illell'uomo. Il giovane Acheo sper– duto, Stefano Ded'alus, della leggendaria colonia achea di Dublino, diveltosi dalla casa patema e dal putativo padre dublinese, va errando nella vita alla ricerca di un vero padre, in cui trovi gli antecedenti che gli mancano, i complementari senza i quali la sua anima è un tessuto inoo[lsistente di intellettualismi irsuti. Ed avrà alfi.!Ilea trovare questo padre nel vecchio fenicio Leopoldo Bloom, uomo di molti negozi, di molte esperienze, di molte patrie e di nes- • suna, di acutissima sensualità sempre eccitabile e sempre erra– bonda, di picC!)la realtà, ma infinitamente dilatabile per tutto quello che in lui a-gisoe della sua preistoria lo[lta,na. Bl~om cerca anch'egli un figliuolo, ché ne ha perduto uno, cd era negli amni suoi di fanciullo. I due uomi111isi avvicinano, si fondono, quel giovane Acheo e quel Fenicio, quello speronato i!Iltellettuale e quel ramdagio sensuale. La signora Bloom, Penelope,__ in cui anche è Gea, l'eterna madre degli uomini, li fonde amch'essa nel laborioso travaglio del suo dormiveglia; benché c-o!Ilsideri la cosa i!Il modo alquanto di– verso, e del tutto femmi!Ileamoote, e come si conviene ai suoi pen– sieri terrestri: e nel giovane figlio i!Ilcognito che entra nella casa, , ella veda, piuttosto un giovane amante, che sorge su l'orizzonte per– petuamente irrequieto degli amori. Di che Freud si rallegra. Ma è certo che la fusione di Stefano e di Bloom, del rigido intelletto e della fluida esperienza sensitiva, si compie sopra tutto oon soddi– sfazio!Ile in Joyce stesso, nell'autore consapevole, che ha cercato di vedere dentro di sé. Si deve credere che egli si sia sentito vivere molto oome ,Stefano, molto come Bloom. Più volte, in quell'ultimo anno suo di vita triestina, egli è venuto a tentarmi perché lo seguissi in qualche osteria di Città Veochia a lui cara, a chiacchierare fumrundo la pipa e trincando, come sempre è piaciuto, del resto, a poeti e filosofi. Io non gli nascondevo che la teintazione era forte; ma dovevo pure rappresentargli che un direttore di giornale, in tempi oosì agitati, non poteva permettersi la dolce diserzione del suo posto e ,della sua scrivania. Joyce aveva m quel te,npo la passi01D.e del Chianti chiaro e della cucina toscana, ed amava pranzare spesso o.a Francini e trattenersi colà fino a ore piccine. Francini, allora ufficiale del– l'Esercito, s'era fatto assegnare un appartamento al quarto piano BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy