Pègaso - anno II - n. 8 - agosto 1930

Ricordi di Joyce - 157 bliners. E conobbi Joyce dei giovami anni: ritrattista d'uomini veri, conscio· :vigilatore del suo stile, no1I1meno realista e nolil mooo mna– litico di quello che fosse la maggior parte dei narratori della sua generazio1I1e, osservatore acuto. e, meglio che spassionato, capace di mettere la distanza di un tono freddo alla propria commozione. Tornato a Trieste nella primavera del 1918, vi trovai Ewiles, e poco dopo mi gillinse da Zurigo il Portrait of the_artist. Nella com– media rico1I1obbitosto la radice ibsooian;:i, (Ibsen, grrunde_amore di tutta la giovinezza di Joyce), ma tro1I1cata al punto dell'inlilesto retorico, e sviluppata crudelmente, un po' alla Strindberg, secondo la legge naturale di distruzione dell'anima, quamdo s'è esposta al fuoco. Forse Strindberg avrebbe finito 001 prorompere; Joyce guar– dava la distruzione ir,o!Ilicoe taciturno. Nel Ritratto mi colp,iro1noil rigore della precisione, la lucidità estrema del disegno, la « somiglia,nzà >> e-on l'originale che si rive– lava per la logicità ,9-ella struttura : ritratto di «scolaro», pla– smato, fucinato e temprato nella disciplina mentale della scuola dei Gesuiti; ribelle sì, pieno d'ira e di recriminazioni, infocato alle ritorsio!Ili critiche, ma iilOIIl mai più liberato, non mai più libera– bile, dai segni spirituali lasciati in lui da quella scuola impèriosa. Essa lo ha armato guerriero in tutti i sensi. Egli è un formidabile teologo, :filologo, umamista; è esercitato al sillogismo, all'ordine al'.– chitettonico della Chiesa, al sottile argomentare della scolastica, al contrappunto della musica sacra, al sagace risalire -dalla vita alla verità occulta dei testi. Non importa che egli sia un ateo, uno svin– colato a priori da ogni legge morale, un concitato beffardo, e che, rasciutta in lui ogini linfa emotiva della chiesa e della tradizio!Ile patria, non te1I1daad altro che a un riconoscimento estetico del mondo. , , : ! iJI Il Ritratto non sarà mai il libro degli italiani. È terso di una tersità translucoote, fresco di una tagliente freschezza invernale che è quasi rigidità, autoritario per esattezze intellettualistiche, più che non tollerino le 1I1ostreabitudini colorite e sentimentali. Non bisogna prenderlo c-ome un libro troppo giovamile rispetto ad Ulys– ses. È scritto immediatamente pdma di esso. È lliil suo elemento, come i ritratti dei Dubliners. È il ritratto, profoilldamente voli– tivo del ofovane che si sobbarcherà a quella fatica enorme. Prima ' i:, • 1 di concepire il labirinto, egli :fissava, chiare, ancora dissociate, e linee del mondo; provava al loro taglio la sua intelligenza. L'a~tore di Ulysses mi si presentò, improvviso e inaspettato, un g1omo del 1919. Allora io dirigevo U1I1 giornale a Trieste. Era una vita faticosa; forse amche bella ma faticosa. Pareva che tutti, m quel momento, avessero l'amore del caos, e noill concepissero la vita che in ediziolile stra.ordinaria. Joyce, come apparizione del caos, era into1I1atissimò.

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