Pègaso - anno II - n. 8 - agosto 1930

<< Chaoarita » 147 biondissimo e pallido: il marito; violilllista anche lui. E forse le grandi arcate SOIIloreparevan della moglie ed erano del marito ; il quale guidava e sosteneva, così nascosto, la piccola orchestra. Chacarita amava .Qrieg, nOIIlvoleva, che Grieg e riusciva ad aver Grieg. Come facesse illOOl era ben chiaro. Gli amici dell'orchestra per avere il pezzo favorito mandavan su alle fanciulle mazzi di fiori e bottiglie di champagne. Lo facevano ostensibilmente, d'accordo col direttore del locale, ed eran ricevuti nella lo_ge: uina stanza che comunicava colla sala del caffè per un usciòlo e un breve corridoio. In quella stanza si riunivano le fan– ciulle per cenare e riposarsi negli intervalli; e all'usciòlo che era proprio sotto al paloo dell'-orchestra guardavano spesso con deside– rio e invidia gli squattrinati e i timidi. Ma Ohacarita non parlava mai col direttore del locale né mai passava la soglia dell'usciòlo. Alzava soltanto gli sguardi vitrei verso il paloo dell'-orchestra: la còrsa abbassava su di lui gli occhi stel– lanti, sorrideva impercettibilmente e, levato alto l'arco ool braccio teso, attaccava il « lamento dli Solveg >>. - Ohe) Ohacarita! te gus,ta Grieg? - diceva,no allora i criollos guardandolo coi gra,ndi occhi languidi. E Ohacarita, zitto. Quando era finito il pezzo s'alzava con movimenti burattineschi e se IIle andava. Gli hijos del pais e gli aficionados della piccola orchestra di d'ame , avevano finito coll'a-ocettare senza indagare e discutere quello strano dominio di Ohacarita. I rapporti fra Ulll uomo così e il mondo dei vivi non potevano essere che sing,olari e come medianici. Ma nel- 1.'animo dei più restava un vago rancore per qùell'uomo che sem– brava dovesse essere esiliato dalla vita e ancora, invece, pareva d'o– mimare la vita. Railloore e anche orl'ore, tamto era repulsivo il solo spettacolo fisico di lui e così para:dossale la sua presenza lì, a quel tavolino di caffè. Un bicchiere di birra davanti a Ohacarita faceva l'effetto di una di quelle cose che i vivi damno ai morti: inutili cose per il morto, ·ma che testim01I1ianodella pietosa ostinazione dei vivi a non abban- donare del tutto chi se ille va. Ma Ohacarita beveva la sua birra. - Te gu,sta la cerveza) Ohacarita? E lui, al solito, zitt-0. Alzava o-li occhi incolori verso l'orchestra e dopo un po' il « la- "' mento di Solveg >> faceva tacere i criollos mordaci. Solveg cantava per lui, Ohacarita, ma non era facile capire come quell'ombra d'uomo accogliesse quel camto. Scheletrico e spettrale, a capo chino, Ohacarita fissava la birra. La violinista còrsa lasciava piovere su di lui, al di sotto del violino, uno sguardo enigmatico e BibliotecaGmo Bianco

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