Pègaso - anno II - n. 8 - agosto 1930

Virgilio 137 solitudine, le ore in cui « quella tacita ferita che vive lllel cuore del– l'uomo>> arrmulla og,ni lontananza e crea dovunque U111 altro mondlo dove è la sola persona che si ama. Virgilio sapeva e indoviinava que– sto mira.colo che si è rivelato pienamente alla poesia postclassica ; sapeva di quest'amore che «tacitum vivit ,sub :pectore vulnus>>, di quest'amante che « absens absootem auditque videtque », ma lllOlll seppe né .poté penetrare in. quel :silenzio n é far luce ÌIIl quelle intimità visionarie. A far questo lllOO. bastava.no né gli elementi né i senti– menti del mondo classico gre0o romano ; a far questo era necessario che lllella letteratura di Grecia e di Roma entrasse 110 spirito cristiano e barbarico: entrasse, cioè, da una parte la sensibilità del pec– 'cato e della morte e la tremenda voluttà della perd'iziollle, e d'altra parte si illlsinuasse nella realtà operosa della esistenza individuale la realtà muta e fantastica del sogno. Solo cosi dal canto di Didone si .giunge al cam.to di P-ranc,esca. Virgilio è poeta triste : di Ulllatristezza benigna perché diffusa, e rassegnata perché illicmitata. NessUlllbaleno di riso rompe questo cielo sotto cui vivOIIlo i vivi o quella lllebbia dentro cui nolllmuoiono i morti. :È una tristezza che non si ribella e non maledice, che ama dli vivere tra le cose brutte e beil1edel mondo e che -soffre di dover morire e di veder morire. In 111esslllll poeta come :iJn Virgilio è Ullla cosi dolente e profonda oompassiollle dei morti; e la discesa laggiù, 111egli illlferi, è sempre accompagnata d'a un sospiro che non ha fine. Ma la vita è Ullladalllnaziollleda cui ci libera soltanto la morte, e Virgilio cOlnoscevaa quale impeto dli gioia e a quale ristoro di serenità potea portare quelila voce di Epicuro che annunciava finito lllel sepolcro tutto il travaglio della vita; ma per Virgilio tutto non era finito, oozi tutto ricollllJilciava quel travaglio, fra gl'intervalli opachi e secolari del mo,ndo sotterrarrieo. Ln questa continuità di malinconia e di rassegnazione è ill religioso eonf.orto della poesia virgilian~. Perciò egli resta attraverso. il flusso del tempo, perché ha visto che gli uomini, disgiunti dallle religiOIIli, dalle patrie, dalle leggi e dai costumi sociali, sono congiunti Ìlllsieme soltanto dall dolore. 1111 que– sta intima simpa-tia dolorosa è la universalità perernne del suo sen– timento, come lllella pienezza espressiva della parola e nella musica del verso è aa vitalità perenne della sua poesia. Nell'Eneide due voci si erano levate a insegna di grandezza: una vooo superbissima che sfidava il tempo e la comune sorte degli u01IDimi : la promessa di Giove ai Roma111i : imperiwm sine fine dedi; e ullla voce ch'era, for,se, un'am.monizione : il monito di Anchise ai Romani: parcere s·ubiecti8 et debellare superbos: una promessa e Ulll'ammoniziooe che rest~vano entrambe fuori delle possibilità sto– riche. Ad esse 11apiù grande voce cristiama risponderà con le parole di Luca : 'caelum et terra tra1IJ.sient ', pa,sseranno anche il cielo e ibiiotecaGino Bianco

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