Pègaso - anno II - n. 8 - agosto 1930

L. PIETRAVALLE, Le éate-ne I 253 solitudine e irretito dal disinganno » ; « in questi paesi sconcinati » ; « le razze del Molise sono tarde e dubitose nel presente e imprescindibili col passato»; « l'antica fierezza era ancor tutta sannita»; « il Sa1;mio an– tico, isola dispersa e ottenebrata di meditazione e di silenzio». Ora che siamo informati sull'anima della regione, vogliamo vedere un paese più da vicino? Non c'è ~he da scegliere: « Bagnoli di Trigno pa– reva una rupe dell'Apocalisse caduta in una pastura azzurra della Bib– bia, velato dal velo nuziale dei vapori del fiume, su cui s'innalzava, cippo solitario scolpito nella selce argentea e con le venature delle frane, ir– ruenti come criniere di leoni». Eroici, o idillici aspetti di questa terra : i suoi uomini politici sono « sdegnosi condottieri che traggon dalla morte e dalla sfortuna quel– l'infallibile dominio che stringe il morso ai più. crudeli eventi » ; i conta– dini hanno « le braccia villose come buone piote domestiche»; i cavalli sono « inzolfanati di cattiveria» ; in tutti è « un sangue eccellente, ma barbaro ancora, e ligio alle antiche allegorie del dolore»; e vi sono « prosciutti sinceri.... verdure pingui allietate dal piacere di rimaner verdi». Qual'è la sorte del proprietario terriero nel Molise? Essere « spo– gliato qua e là per spogliazione pacifica dal contadino quando poté pas– sare il mare e spinger con la falange irsuta la marcia del dollaro attra– ·verso l'oceano>>. Ma nella casa dei Caldoro, per ora i pranzi sono lauti: « il pranzo si avvia alla fine con la sua gioia incredula ed il cinismo ama– bile del palato sazio e soddisfatto». Qualche persona vera,- qualche figura da vicino : « un certo Don Co– stantino uomo famoso per il suo parlar cogitabondo e ornato di succo– lenti maccheroni danteschi, che scorbellavano di risa gli scientifici del paese, come li chiamava lui»; « Don Gelasio si levò e riprese la sua cru– dezza paesana crepata di sdegno»; « Donata verde e succosa come l'oliva è tutta ombrata da una lanugine violenta, ha diciott'anni e odora di cavolo nelle mascelle macchiate di sudore» ; « Antonietta si torce più spumosa che mai, coi baffi neri e cresputi del suo vello di ciociara che sventolano sulle orecchie». E se tutte le parole non s'intendono, poco im– porta. La Pietravalle ci dà ragguagli anche sul dialetto caustico e duro del Trigno: « parlata fatta di segni corrosi sui tatuaggi del tempo ed evocanti miti splendidi e sfigurati come amuleti dissepolti», « loquela di gusto arcaico in cui l'italiano è sofferto come una tradizione e corroso di misteriosi tatuaggi di epoche spente». Certo, non tutti gli usi e le costumanze del Molise, che la Pietravalle ci descrive con tanto impegno, sono così rari e speciosi com'ella crede. Ella ci racconta anche d'una vecchia signora che « aveva una scolla nera gettata sulle spalle e, par– lando, si accomodava sempre questa specie di blonda, intrecciata di bava di finissima lana caratteristica delle gentildonne molisane, detta il fisciù >1.Be', che cosa sia il fisciù lo si sa anche fuori del Molise. (E se domani un romanziere scrivesse così?: - Pioveva e Tonino portava dritto in mano uno strano bastone armato di lunghe, raggianti stecche di ferro, convergenti al cacume, e unite tra loro da una larga pezza di seta gloria. - O non era più semplice dire, l'ombrello ?). Ma il romanzo della Pietravalle, l'abbiamo detto, non è tutto mo- BibliotecaGino Bianco

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