Pègaso - anno II - n. 8 - agosto 1930

252 L. PIETRAVALLE, Le catene LINA PIETRAVALLE. Le catene. Romanzo. - Mondadori, Milano, 1930. L. 12. È in corso un processo alla critica letteraria. In attesa della sen- tenza, un critico a modo che farà ? . . . A rigore, dovrebbe restarsene zitto; ma poiché questa del silenzio è virtù assai difficile ai critid e alle _donne, senza troppo parlare e senza starsene tutto zitto il critico farà in modo che gli autori (e, metti il ' . . .. caso, le autrici) si commentino, si recensiscano e msomma si criti- chino da sé. . Veniamo alla fattispecie. Su questo roma,nzo di Lina Pietravalle un'idea mia ce l'avrei; ma la, terrò per me. Lascerò che l'autrice metta in mostra e colorisca, quant'è possibile, da sé il suo romanzo. Io enuncerò intanto il tema, e dirò di che si tratta. Le «catene» del titolo, se ho capito giusto, sono i legami che stringono. ciascuno di noi al passato, alla famiglia, alla regione, alla vecchia casa. Questi le– gami e catene possono anche dolere e pesare ; ma romperli, l'uomo non può. I tentativi ch'egli faccia per sottrarsi, per liberarsi, restano vani; o, peggio, lo ribadiscono alla catena antica con un dolore, un disordine nuovo. Questa, sempre se ho ben capito, è la morale del romanzo. La scena è tripartita e contrapposta come in un trittico. Per le prime centoventitré pagine siamo in Molise, nella casa antica dei Oal– doro; c'è un vecchio monsignore; un medico-deputato, paterno padrone del suo popolo, e padre di quattro belle figliole; e, intorno, un frenetico balletto di contadini, di servi, di serve e di bastardi loquaci in costume paesano. Poi Riccardo Caldoro, il capo di questa famiglia, muore assas– sinato, mi pare per un odio politico. La sua gente si disperde. Allora delle quattro figliuole, Felicia, Orteniòia, Marta, Diodata, (Le femmine dei Caldoro ci hanno la pelle d'oro: c'è il prezzo e c'è iJ. decoro. Le femmine dei Caldoro !) delle quattro, due, le mal maritate, prendono il largo cercano il bel mondo, tradiscono abbondantemente i mariti, e per centocinquantaquat– tro pagine (seconda tavola del trittico) folleggiano come e dove possono: a Roma, a Oapri, sui monti, sui laghi. Ma sopravviene la sventura la fuga di un amante, l'arre'3to di un marito, la morte di un figliolett~ .... insomma la fortuna dà la balta, ed ecc'o le femmine dei Caldoro (trenta– q-µattro pagine, ultima tavola del trittico) tornano ravvedute no ma piangenti, al Molise, al vecchio e fiero zio mon~igno;e, alla casa an'tica. Questo, a un dipresso, è il canovaccio, la trama. Resta da vedere come le tre parti del romanzo sono condotte, come i tre quadri son coloriti. E qui pa~l~ la Pietr_avalle. Abb!amo detto già come il paesaggio, la terra, la trachz10ne molisana non sia-no soltanto lo sfondo e il contorno del quadro; sono anzi la morale, il senso ultimo del racconto. Oomin– damo dunque di qui. Dice la Pietra valle: « Questa terra amara di Mo– lise>>; « il Molise .... questo paese scalzo e disadorno, immalinconito dalla BibliotecaGino Bianco

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