Pègaso - anno II - n. 8 - agosto 1930

C. ALVARO, Gente in Aspromonte 249 «dipinge>> né, tanto meno, che « spolpisce »; mi fermerei piuttosto alla musica, e, della musica, a quella corale, sebbene l:f musica corale sia il portato d'una maturità estrema, un'arte adulta, consumata e ineffabil– mente umana, e quella d'Alvaro invece è un'arte in embrione e tutta in succhio, il principio della sua artè di scrittore piuttosto che il fiore. Diciamo dunque lo stesso che Alvaro è uno scrittore «corale». Cominciò come lirico solo, veramente,·e con un suo gusto popolaresco (le Poesie grigioverdi, 1917); e, prima di tutto, il non detto, l'accennar dispersivo, il proceder per immagini distanti, e il far a fidanza, troppo, sull'indefinito tematico, strofico e logico, questo gli piacque. Aiutava lo stile che è proprio di quel poetare, e gli dava l'illusione di cose rag giunte. L'argomento, poi, è rimasto sempre lo stesso: l'affezione alla sua terra e una certa professione di vate. Dice oggi della sua ge~te: « è una civiltà che scompare, e su di essa non c'è da piangere, ma bic sogna trarre, chi è nato, il maggior numero di memorie». Ecco, ora, quel compito s'è. determinato, il campo d'osservazione arricchito, la prontezza dello scrittore fatta più viva, specialmente il suo lirico fervore; ma il modo è pur sempre lo stesso. Sulla pagina puntare col maggior numero di mezzi, da tutte le parti; prenderla, direi, d'assalto; aggredirla. Nelle liriche erano impercettibili moti, appena avvertibili, e, in primo piano, un continuo sbattere del discorso; qui, con una materia più concreta, un a volte inquietante tumulto. Applicato questo modo al romanzo (L'uomo nel labirinto, 192'6), non poteva dare che il contrapposto giusto di quel che noi intendiamo per romanzo. Non basta che sia lento, statico, interiorizzato; fosse, veramente, interiorizzato ! Ma è che le parti riflessive sono pretesti mezzo umani, mezzo intellet– tualistici, mezzo allucinatorii. Dove non arriva la giustificazione umana, soccorre l'intelligenza; dove l'intelligenza è debole, sopravviene il sogno. E non si trattava che d'un marito inetto, suppostamente tradito, che cercava la sua vendetta, e la fa nell~ maniera più solita e pedestre, to– gliendo la donna a chi l'aveva portata via a lui. (Un piccolo puntiglio, alla fine_!)._Loso, ci son di bei capitoli in ultimo, sani e aperti. Alvaro vi cala dall'alto dei suoi cieli metafisici il suo protagonista; e pareva che la vendetta da una parte, -il toccar terra dall'altra ve l'avrebbero guarito. Per nulla ! Il protagonista sparisce, e Dio sa poi perché e per dove. Fu una prova inutile, dunque, questa ? Non direi. Servi per lo meno a limitare il campo dello scrittore, a farlo più contento del suo poco e, nel tempo stesso, gli affinò i mezzi espressivi, sopra tutto gli scopri il modo di ricevere il realismo col più possibile di reazioni. Ma qui è anche il punto difficile di Alvaro, la sua ricchezza e la sua de– bolezza. Ogni ispirazione, in lui, più che con una certezza determinata, nasce con un'agitazione inquieta, e dentro vi si mescolano impressioni che progrediscono e crescono in tumulto. Torno all'idea del coro. Che cosa è di Alvaro che più ricordiamo? Una figura determinata, una ·figura che campeggi, no. Ci rimangono di essa tutt'al più le voci, o i gesti, o i moti interni, non più distintamente che le voci della terra o delle acque o d'una pianta-. Volete la riprova stilistica ? Aprite una pagina, una pagina sola, di quelle anche più riuscite. Da ogni parte Biblioteca Gino Bianco

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