Pègaso - anno II - n. 8 - agosto 1930
N. V .ACCALLUZZO, Fra donne e poeti ecc. 237 letteratura e la sua amicizia coi più famosi letteràti a quella moda dei salotti letterari in cui allora Jegnavano come dee le più belle e colte gentildonne del tempo, a cominciare da quella Isabella Teotochi Al– brizzi, la « saggia Isabella>> del Foscolo, nel cui salotto il Pindemonte e lo Zacco si conobbero la prima volta fin dal 1785. La loro intima amicizia cominciò più tardi, nel 1796, in casa di Lucietta ,Foscarini, che li chiamava Pilade e Oreste; e Oreste si firmava spesso nelle lettere all'amico il Pindemonte. « Contribuì probabilmente a questa intimità il bisogno scambievole di parlar sovente di Isabella Albrizzi n, insinua amabilmente il Montanari, citato dal Vaccalluzzo. E non di lei sola, in quel fiorire di belle donne letterate e agevoli che godevano nel far pal– pitare il cuore dei poeti e nell'esser loro pietose. Di donne si parla ab– bondantemente in· questo: epistolario fraterno. Poi la passione o il ca– pricrio passavano, e restava una buona e fedele amicizia. Le vaghe donne a poco a poco invecchiavano, ma il Pindemonte, che invecchiava anche lui, non diminuiva l'assiduità antica. Qualche volta lo Zacco sorrideva, di quella ma fedeltà, che era divenuta, più che altro, una abitudine; eii egli, l'ultimo di luglio del 1819, gli rispondeva un po' risentito: « Nella lettera stessa voi fate, forse senz'accorgervene, un ritratto di me, che per verità non mi par fedele. Io non ho mai creduto un difetto nelle donne la bellezza e la gioventù; e s'io passava per costume la sera ron Silvia Verza, così vole.1,la mia antica amicizia con lei,>. Ora, questa Silvia Verza era la stessa a cui forse il Parini aveva in– dirizzata l'ode A. SilJvia; della quale, ad ogni modo, era stato grande ammiratore, dedicandole un sonetto e inviandole lettere tenerissime: « Adorabile Silvia .... >). Il Pindemonte in gioventù l'aveva amata; col tempo, i pensieri del di là vincendo l'avidità delle gioie mondane, e con la vecchiezza avvicinandosi la morte, egli ne divenne, diceva il Gar– gallo, il teologo e il direttore spirituale. Non era più il galante ed elegante ballerino del suo tempo antico, e neppure il viaggiatore che nei mari del mezzogiorno ricreava nella fantasia i miti remoti (Sempre fu questo mar pieno d'incanti .... ; che è uno dei più bei versi della poesia italiana) ; era un altro, come lo descrisse il Byron in una lettera · al Murray: « È un ometto magro, con de' tratti fini e dolci; la sua maniera di presentarsi amabile e dignitosa; la sua apparenza quella di un filosofo; la sua età un sessant'anni al più .... Dopo essere stato •ùn po' libertino in gioventù, ora si è fatto divoto, dice le sue preghiere, sermoneggia da sé per scongiurare il diavolo; ma dopo tutto è un piacevolissimo vecchietto >).Diceva pure il Byron : « È uno de' migliori scrittori contemporanei>>. La posterità è stata ingiusta con lui. « Ep– pure quest'uomo, - osserva giustamente il Vaccalluzzo, - che or vive più della fama d'una traduzione che di quella delle sue poesie originali, goddte d1 un'autorità invidiabile dentro e fuori l'Italia, e veniva terzo o qnarto dopo il Monti, il Foscolo, il Cesarotti >>. Ora, lasciando stare lo scrittore, dal carteggio con lo Zacco noi impariamo a conoscere meglio e ad amare e stimare anche di più l'uomo. El'« Introduzione>> del Va-ccalluzzo, che è essa stessa un saggio eccellente su questo epistolario, ci introduce con sicurezza e con amabi– lità in quel mondo galante di abati, di poeti, di buongustai, di dame, la BibliotecaGino Bianco
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