Pègaso - anno II - n. 8 - agosto 1930

Politici e moralisti del Seicento 233 il dolore. C'è in lui una coscienza morale attenta che soffre intimamente della sua, vita non svolta. Ecco come confessa l'esperienza su cui si è formato il suo pensiero : « Ben che molti intendano meglio di me questa materia, penso nondimeno di poterne significar il mio parere, e tanto più quanto mi ricordo il danno, che avrebbe potuto farmi lo sfrenato amor di dir il vero, di che non mi sono pentito ; m.a, amando, come sem– pre, la verità, procurerò nel rimanente de' miei giorni di vagheggiarla con minor pericolo ». Ama la verità, ma non ha il coraggio della verità. È umanamente dolorosa questa sua triste confessione : non è più il codice del savio, è quello di chi soffre di dover mentire a ciò che crede. La dissimulazione è un problema che il .savio del Guicciardjni non incontra nella sua anima, che non sa di legge morale oltre la sua azione politica. Ma, in fondo, nel savio del Guicciardini è già in germe il savio dell'Accetto, perché né l'uno né l'altro ritrovano nella loro anima Dio. · Anche l'Accetto, come lo Zuccolo, sospira l'età dell'oro della bontà, che, perduta, non ritornerà per l'uomo che, di là, col giorno del giudizio, il giorno della più, libera sincerità : in questo triste mondo desidera, so– pratutto, « cli viver con riposo», fugge sopratutto « la perdita della quiete interna eh' è bene inestimabile e appartiene all' innocen.za >>. Ol– tre la terra, guarda al cielo : « Qui, dove siamo vestiti cli corru– zione, si procura con ogni sforzo il manto con che si dissimula, per ri– medio di molti mali; e, ancorché ciò sia onesto, pur è travaglio; onde si de0 aspirar al termine di questa necessità, e spesso, rimovendo lo sguardo dagli oggetti terreni, vagheggiar le stelle come segni del vero lume che, anche per mezzo d'esse, c'invita alla propria stanza della ve– rità,)). Il mondo è il regno del male, e occorre, dinanzi all'ingiusta po– tenza (e nel mondo dell'Accetto non c'è potenza giusta), ritrarsi in sé, conservare il tesoro della propria virtù : « Orrendi mostri son que' potenti che divorano la sostanza di chi lor soggiace; onde ciascuno, che sia in pericolo di tanta disavventura, non ha miglior mezzo di rimediar che l'astenersi dalla pompa nella prosperità e dalle lagrime e dai sospjri nella miseria ; e non solo dico del nasconder i beni esterni, ma que' dell'animo ; onde la virtù, che si nasconde a tempo, vince se stessa, assicurando le · sue ricchezze, poiché. il tesoro della mente non ha men bisogno talora di star sepolto che il tesoro delle cose mortali>>. È la preud'homnie che aveva teorizzato, con Montaigne e Charron, lo scetticismo francese, po– nendola al disopra .anche della scienza, gloria degli umanisti. L'Accetto che ha una così vi,va sensibilità morale, par quasi confes– sarsi tra sé e sé, senza guardar in viso gli altri, confessarsi di un modo di vita. che il mondo gli impone ma che il cuore non accetta: è l'espe- .rienza cli chi soffre di un'età senza amore e senza libertà, un'esperienza di schiavi, verrebbe da dire, se non ci trattenesse l'umana sofferenza che è costata la tristezza della servitù. Ci si sente quella malinconica ri– nuncia che discende da quel non coraggio dell'azione, che è di tutti nel secolo. Leggendo alcune tra le parole più tristi dell'Accetto tornano alla memoria quelle desolate di Galileo al cardinale Ji'rancesco Barberini, il 13 ottobre del 1632, in piena persecuzione del Santo Offizio : « Questo mi affligge, che mi fa detestare tutto 'l tempo già da me consumato in BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy