Pègaso - anno II - n. 7 - luglio 1930

1 grassi 77 pratutto un enorme piatto di pasta asciutta fu il centro dei nne1 timori, e che, co111 la, testa curva sul mio piatto, nOIIJ. ebbi sollievo fino a che 111On sentii che dintomo, su tutti gli altri piatti, era ces– sato il ticchettio delle forchette. Allora abiai gli occhi, e quando la vidi ,serena nel viso e composta, giurai che aveva mangiato p9co o puinto, e mi rimisi io con la testa bassa a iingoiare furiosamente. Ma quando, dlopo il pranzo, nel giardino, la ritrovai oon la stessa, bellezza intatta, e solo oon un velo di timore che sul viso le fug– giva co:m.ese fosse inseguito da un'ombra ,e temesse d'esserne so– praffatta ... , fu questa sensazio111e di minaccia che oo fece pe:rider completamente la testa. Mi dissi che dovevo essere io a difenderla, che dovevo combattere sol' io. Contro chi, oontro ohe oo•sa, 1110111 sa– pevo bene .... Ma quell'impressione c'era, e cercai di farglielo capire oon gli occhi, guair,da1J.1dolappassionatamente, tentamdo di rivol– gerle la parola; ma ogni volta che ceroavo di accostarmi, mi tro– vavo fra rrnezzola monumentalità fastidiosa del ,signor Carlo e della signora madre ; e in un moonento che mi pareva di poter attaccare, dal sommo di ;una logigia che domirui. il gia,1,dino,ecco che comparve, sola e misteriosa, la figura dello zio. Non ,pareva che ci fosse ostile, anzi che sorridesse, ma il fatto è che 111011 mi riuscì di esseTe un momeinto •solo oon lei e non potei dirle luna parola. Subito, il giorno dopo, ,dal collegio, ebbi il coraiggio o la dabbe– naggine di scriverle. È prob3!bile che la mia lettera fosse un po' don– chisciottesca; che le pairole difesa, volgarità, bellezza, liberazione, vi faoesser,o un grande torneo. Oerto era una lettera a,ppassionaita. Successe il fi111imondo.Mentre riportavo i ra,gazzi dalla scuola fui chiamato improvvisa.mente in direzione. La direziooe era al secondo pialllo, in una gran st3Jllza luminosa, fra libri e scaffali; e il rettore era un omino 1111.agro, rubizw e, a tempo debito, scattante. Mi accolse invece coin un .sorrisetto ironico e, memtre teneva 111elle mani una terribile lettera che io riconoscevo, si congratulava len– tamente con me per le mie conoscenze di letteratura e mi chiamò « bellissimo scrittore di lettere)) : poi venn.e una gran lavata di capo. __,,Ma il colano fu che fossi chiamato a111che illl casa Agrimonti. La sera che vi andai, era una sera buia, pioveva. All'ingresso, dietro il massiccio portone, trovai un servo che mi aspettava. Non salimmo la scalilllata grande, mi feoe girare dietro la corte, aveva un mazzo di chiavi in m3Jllooome se fosse un carceriere. Sentivo la pioggia - che ,gr•ondava dai tetti, e a.Jla poca luce che veniva da una lampaida in alto, vedevo grandi masse di muri tagliate a sghembo da ombre, e tro111chid'alberi spaiventati i111 mez,zo alla pioggia. Il servso, ool mazzo delle chiavi in mano, ap·rì una porta, mi fece entrare in U111a st anzia umida , a pia.n terreno, e rinchiuse. Da una scaletta interna si sentiva.no venir giù, quasi entro l'interno delle mura massicce, dei tonfi sordi : un uomo grosso che scendeva-. BibilotecaGino Bianco

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