Pègaso - anno II - n. 7 - luglio 1930

Boccaccio e il « Decamerone » 27 dolll:ato dall'autore, non ·può non ,stupire a pJ'IÌJma vista. Passi la mo– destia daivamti al Petrarca, e l non è pl'Ovato che egli del Deo(JJtnerone distruggesse l'origilllale, am.zi permise egli '8tesso forse di iprenderoe copia al Mwnetti ; mia stringe ill cuore pensare eh' egli scrisse del suo capolavoro certe ,parole a Maghi1nairdo Cavalcanti (se pure molto di esse è da imputare a senso delle colll:venienze mondallle e alla ll"oton– dità 1ID po' maldestra del ,suo stile latIDo), lrumentandone il disa– str-oso effetto moraae soprattutto sulle a01ime fe.mllillÌ.nili, tutto tre– mam.te che tpossa daJla licenza di quello venir macch1ato il suo nome, e che lui ste 1 sso me debba velllir giudicato dai lettori « s.pu :rgi– dum le.nonem, incest'uosu:m ,senem, timpu'I1um_homim.em, turpilo quum , ma1edicum et ialienorum scelerum avidum relatorem >>. Eppure tutto ciò non è che troppo naturale. Il Deoamerone per il Boccaccio oonchiude tutta una vita, 1I1onne :apre una nuova: domina sul passaggio obbligato tra la scienza mondama eh' egli aveva cercato in tutta la travagliata gioventù, e la« scienza divina>> che gli aveva dato già forse molto aiuto a distaccarsi d'alle passioni a oontemplarle e-on occhio seren•o, nel cor,so dell',opera stessa, ma lo attraie ora tutto a sé, irresistibilmente. L'auto,re del Decarnerone è senza dubbio anche un<<giudice)),_ ma le sue leggi eralil troppo legate alla faliltais:iadel c,r,eatore, troppo st:ret– tamente in funzione di essa e dei felici rioordi giovamili, per dargli una '8icura no11ma di vita, che gli valesse per la vecchiaia precoce, pei lunghi amni di soli1mdine inaspriti dial!lapovertà e dalla malattia, per gli ostinati studi che aiccompagnarooo il progressivo raggelarsi dellJa fant·asia: speculatore :unteressato troppo e legrut•o ai fatti della vita per fa:r:si filosofo, come da giovane cercava una certezza per l'amore, cerca ora una certezza per la vecchiaia. Si diede tutto •alla religione (e in fondo incredulo o irriverente egli non era mai struto), se111za discutere o ricercare, con piem.oabbandono, e agli studi uma,nistici, che per lui (lo dìmostrò benissirµo anche di recente il Toffanitll) erano quasi la stessa cosa. Egili em il legittimo eTede di Dalil.te (piace alil.Chenei nostri anti– chi ritrovarne l'ai$senso); aveva, lui solo, quasi derivate idealmente tllella sua « commedia umam,a,>> la scienza delle passiolili, quanto di <<temporale>> e di ,drammatico era nell' altra Oomedia. Le cure coliltiillue _e le lunghe frequentazioni dell'opera l'avevano legato sempre più aJl suo poeta di un affetto quasi filiale: fino in quel suo turbolento amore pel ,suo veochio Comutlle di Firenze, che era stato il Oomu111e di Dam.te (e sbocca, violento e ina,spettaito, 111ellia 111ot:a let– tera aJlPetr,area e nelle pagi111e o0111tro la tirannia del Duca d'Atene), egli si compiaceva forse di r..i.001110,scere una eredità di Lui. Nella studiosa, desolata e un po' sdegnosa solitudine della sua estrema vecchiaia, piaice ora a noi ritrovare quasi i[ <<motivo>) del mitico esilio dan,tesco, come piacque all'IDgea:rno affetto del Baldelli ritro- ibliòtecaGino Bianco

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