Pègaso - anno II - n. 7 - luglio 1930

124 .A. LoRIA, JJ'annias Ventosoa a lungo nella memoria. Dov'è andato a finire, ora, il «pittoresco» delle altre occasioni ? « Dalle ringhiere dei bimbi buttavan pan~ ai passerotti, ment~e ~ei grossi piccioni stavano fermi in attesa, quatti sull'erba come bestie. m: capaci di volare. Cadevano le briciole bianche sul ve_rde_e 111;l ro' Vl ~l perdevano e i piccioni invidiosi piombavano alla rapma, 11:l r~d1co_lo l'l~ tardo con i passerotti, beccatori infallibili. Delusi o s~z1 d1 pr1ma, '. piccioni partivano alti come per mete lontanissime e s1 posavano sm primi alberi all'intorno, sui rametti delle vette in gruppi pettoruti e troppo pesanti a paragone del ritaglio aereo del fogliame ». « Il giar– dino ormai deserto ritrovava la sua vastità e la sua grande architettura di marmi e di masse arboree. Dall'interno del caffè l'acciottolìo di tazze e bic~hieri veniva intimo e calmo come da una cucina di cam– pagna. Per ricordarsi della città esse dovevano mettersi in ascolto di suoni e rumori lontani o cercar oltre le chiome degli alberi lo stendersi c;opra l'azzurro di una gran nappa ross'astra ». « ,Senza mèta, col senso di essere condannate ad ogni rinuncia finirono per trottare ad occhi ba~si, come cacciatori che, disturbati nel bosco dai legnaiuoli, non han più speranza che torni l'ora, propizia». Così è anche il resto. E non ci si obietti che tanta buriana e tante t-,parate e fumacchi d'altri tempi, si sono rivelati vani se lo scrittore doveva, poi ritrovarsi, megliò che altrove, in una semplice novella di tipo naturalistico. Le Sirene non rientrano affatto in un « tipo » di racconto del quale ci si possa, sbrigare in quattro parole; e Loria non ha rinunciato in questa occasione a quella facoltà di trasfigurazione e stilizzazione grottesca alla quale deve i suoi primi risultati di scrit– tore. Ha rinunciato soltanto a, un di più che intorbidava la genuinità della sua maniera. Di fronte a tali risultati è comprensibile che ci interessino meno le splendide scenografie degli Evasi o le escogitazioni, talora geniali, spesso « di repertorio>> del Racconto d'inverno che i lettori di Pèga8o conoscono già; o che ci lascino dubbiosi i congegni psicologici della novella che dà il titolo al libro, Fannias Ventosca, nella-quale è tut– tavia, di rara efficacia la pittura di quel mondo. cerretanesco e fieraiolo che a, Loria è particolarmente caro. Un altro racconto porremmo, sem– mai, accanto _a, Le Sirene, ove l'esecuzione non fosse rimasta alquanto addietro al motivo ispiratore: Tra due ponti, dov'è la fuga in barca di certa coppia adultera e l'inseguimento di un marito geloso e imbelle e di UlJ-3, cognata spasimosa, che raggiungono effetti di barocca e insieme lugubre intensità. Certo, anche Tra due ponti, - se pure in essa, non sia ben raggiunto l'equilibrio tra le esigenze del realismo e quelle deJla favola, - rappre– senta-tipicamente la visione che Loria ha oggi della vita: visione fosca accesa di riflessi sanguigni, ma non priva di riposi, non destituita di un~ irrazionale possibilità di gioia e di salvezza. È peccato che la mano gli sia corsa, -qui più che altrove, anche troppo svagata (« Ersilia cantava. s:era levata canterina e dal mattino durava con partenze un po' ululanti d1 gol~ sensuale a, ca°:tare quasi volesse .... »), e che il proto abbia coro– nato 1 opera con una, imponente mèsse di « refusi ». BibliotecaGino Bianco •

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