Pègaso - anno II - n. 7 - luglio 1930

114 <, L'ottava d'oro » e tragico e solitario. Quel suo divino « descrivere » che al F'oscolo piaceva, e che gli pareva il modo più proprio per continuamente allie: tare il lettore e veramente divertirlo, di scena in scena, senza mai faro·li obbligo 'di fermarsi più qua che là, ma in tutte le parti ugual– me~te, per godersele e sentirle passar davanti veloci alla fantasia, e ripensarle poi, variate così, e rapide, e mescolate di sensi opposti : ecco quel divino modo, scomposto, diviso, deformato. Leopardi lasciò scritto di Ovidio, che· l'arte sua di mettere le cose sotto gli occhi si chiama per– tinacia, non efficacia ; noi diremo che anche questo modo di intendere il Furioso è pertinace, e per nulla efficace. Non che si dovrebbe accettare in tutto l'interprétazione crociana: dico che bisognerebbe smorzarne al– q-uanto il tono. Quell'« occhio di Dio», a cui il Croce assomiglia l'ironia arioste1lca, « che guarda il muoversi della creazione, di tutta la crea– zione, amandola al pari, nel bene e nel male, nel grandissimo e nel picco– lissimo, nell'uomo e nel granello di sabbia » dà forse un'immagine esal– tante d'una poesia, dove invece serenamente si equilibrano e si quietano gli opposti che sono nella vita. A me pare, in aJtro senso, e con più lata comprensione, la traduzione fantastica di un' « aurea mediocritas »; e· perché tutto è volto in fantasia, perde appunto quel piccolo e mediocre e limitato che è in Ora~io, anche la sua sterile malinconia. - Delle sette conferenze raccolte in questo volume, quella di Baldini è certo la più vicina al modo crociano : così sorridente e libera, e alla fine umana, che proprio c'era da aspettarsela da lui. L'ultima battuta, che pare, e non è, una trovata ad effetto ( « E chi sa che un giorno ..l\ngelica, di veder novità voluntarosa, mal consigliata dalla stessa vita troppo sedentaria che il marito la costringeva a fare, non se ne fosse venuh fuori con la novità: ' ch'ella _volevaad ogni modo un bruno' ? Signori miei, la vita è un seguito di chiaroscuri .... »), scaturisce invece dall'in– timo cuore della poesia ariostesca, dalla vita e dalle avventure di An.ge-. lica. Il mito ariostesco è un mito facile e imprendibile. Oon tutte quelle fila lasciate a posta sospese, di episodio in episodio, eccita la imma– ginazione; e chi a quella vena di creare fantastico e lieto sa accostarsi, può inventar di suo, che, tanto_, quella poesia sopporta ogni lavoro in margine, purché non sia di quegli stridenti ingegni cui avanti s'è ac– cennato. Un altro, il Ma,laparte, s'è messo anche lui con una disposi– zione di lettore sgombro di idee pesanti, e dalla pazzia di Orlando è passato a dire del carattere degli italiani cose che fanno pensare, e che son vere e allegre. Gli altri, che pur hanno discorso con bell'arte, e con antico gusto oratorio (Lipparini, Quilici), a me paiono un po' lon– tani da quel tipo di lettura che più, penso, si convengà all' Ariosfo. Per tornare al più ariostesco di tutti, a Baldini, mi ricorda ora d'una sua confessione molto meno contingente e personale di quel che non possa parere a prima vista, che tutte le voltè, cioè, che torna al Furioso con l'intenzione grande che n'esca finalmente un libro un libro suo e un'in– terpretazione sua, comincia la lettura · piano e ~sitante poi di canto . . ' ' ' m canto, man ~ano che cresce la voglia di leggere, scema quella à.i più par~arne, e arriva alla fine che s'è perfino scordato di quel primo pro– pos~to. C'è la sua ragione. Sentite il Croce che pare di lontano far cenno all'mganno di Baldini: « La fortuna dell'Orlando furioso si può com- BibliotecaGino Bianco·

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