Pègaso - anno II - n. 7 - luglio 1930

<< L'ottava d'oro n 113 « L'ottava d'oro». Celebrazioni ariostesche di Italo Balbo, Antonio Bal– dini, Curzio Malaparte, Giuseppe Lipparini, Nello Quilici, Arturo Fal'inelli, Achille Campanile, e 11n messaggio di Gabriele D' An– nunzio. Tomo I, Ferrara, 1928. - Treves, Milano, 1930. L. 15. Arte difficilissima quella del leggere l'Ariosto : leggerlo, dico, in pubblico. Dopo il saggio del Croce, il più ricco di nuovo tra quanti siano usciti dallaJ sua penna, non resterebbe, se propri.o si volesse oggi sentir trattare in una conferenza un tema si sfuggente, che aspettar che il Croce stesso, salito in tribuna, lo riprendesse per il piacere degli ascoltanti da quell'altezza da cui già seppe dominarlo con vasto sguardo, e risen– tire dalla viva voce ritessere i fili di quella musica, e ascoltarla quando in pieno grandeggia nella variata partitura, e quando brilla in un'ottava sola e in un verso solo. Aspetteremo poi l'ora che la fantasia ci riporti sul libro aperto, per comunicare a mente quieta col più aperto degli umani creatori di miti. Voglio dire che un canto o un episodio del Fu– rioso non si spiega per sé, se non lo si riporta al tempo stesso nella dilettosa e ricca tela del poema, se non respira quell'aria, ha intorno quell'aria viva. Il gusto della lettura d'una pagina sola dev'esser pieno del senso del gusto che è in tutte le pagine: difficile gusto, che ha ve– ramente in sé un incognito indistinto e un inebriante fascino. Di Ariosto insomma non so vedere che un lettore in un tempo solo; e più lettori in più t~mpi non farebbero che ripetersi. Dante è tutt'altra cosa, cosi netto e diviso; e su un canto o una figura del Tasso, quanta materia di com– plicati discorsi, e non soltanto estetici e critici! Ma l'arte dell'Ariosto non sopporta simili analisi. « Ottava d'oro» è stata detta quella del Furioso; e così sono i canti, e così è il poema tutt'intero. Va' ora, e scomponi quell'oro. Ancora trenta e quarant'anni fa, il furore del ricercar le «fonti» poteva aiutare l'ingegno e la destrezza dei curiosi; e già ci fu chi faticò per tutti, illuminando e disturbando insieme. Ora l'Ariosto non ha, si può dire, segreti di tal specie. Se mai, piacerebbe, non in una lettura o in ·una serie di letture, ma iu una sorta di commento perpetuo, stu– diar minutissimamente la lingua, e come se la formò in sedici anni di lavoro, e come ne fece una cosa nuova; e da quella trasparenza veder briilare il suo doppio riso, d'artista e d'uomo. Un segreto, a ogni modo, da non comunicare, parlando in pubblico, con la voce che non è mai abbastanza lontana e romita che possa accompagnare chi ascolta nel murmure che fanno le parole nel punto che nascono e si muovono. Sa– pete che lingua è quella dell'Ariosto, facile, armoniosa, ornata, dorata, piena. L'interprete parli a voi di sulla pagina, non rompa con suoni umani il silenzio, l'incantato silenzio che sveglia la mente e la fa pronta, direi che le dà un allucinante sguardo. C'è un'arte che va intesa cosi, senza commozione, o, meglio, con intelligenza commossa: e questa è l'arte dell'Ariosto. Pure vi sono stati, e vi sono tuttora, i cercatori del profondo, gl'insaziabili, che non hanno disarmato e non disarmano ancora davanti a un'arte come questa. Cerca che non troverai .... Essi han cercato e han trovato; han trovato perfino nell'Ariosto il grande e drammatico 8. - Ptuas•. Bibl,-otecaGino Bianco

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