Pègaso - anno II - n. 7 - luglio 1930
Paradossi didattici 91 suno veniva in mente di ridere. Anch'egli apparteneva per altri rispetti , alla Controriforma, non per questo. Dalla Controriforma- deriva anche quella certa diffidenza che la scuola mostra tuttora per il teatro, anche per quello di musica. Essa è, chi ben guardi, una sopravvivenza di una concezione voluttuaria dell'arte che ha lasciato anche altre tracce nelle nostre consuetudini: molta gente si fa ancora scrupolo di andare al teatro, magari al con– certo, finché porta il lutto, il che è ridicolo. Il teatro è considerato da molti come un «divertimento», alla pari del biliardo e delle meretrici. Questa concezione pare a me, oltre che teoricamente assurda, anche pe– ricolosa praticamente, eticamente : lo scolaro, appena sarà padrone di sé, correrà al teatro, ma vi cercherà quello che è più atto a «divertire» nel significato più comune della parola, cioè l'operetta, la varietà, la, pochade; per la grande opera e per il dramma serio, ibseniano o piran– delliano, c'è rischio ch'egli non senta né curiosità né gusto, né allora né più ma.i. La scuola di un tempo conosceva delle arti belle ~olo la poesia (compressa, s'intende, negli schemi del pedagogismo); ignorava che i ragazzi hanno anche occhi e orecchi. La pedagogia positivistica, che, · orientata democraticamente, demagogicamente, pensava soltanto alle elementari, non ha in questo campo mutato nulla. Da qualche anno la scuola media anche umanistica si è accorta che esistono in Italia, che esistevano già nell'antica Grecia_ e nell'antica Roma una scultura, una pittura, un'architettura: se siano adeguati i modi con i quali essa tenta di far fruttificare queste conoscenze negli alunni, con insegnamenti di «storia.dell'arte>> (conferiti per incarico, talvolta a conoscitori improv– visati, tal'altra a scolari troppo fedeli di grandi maestri e troppo ze– lanti delle loro formule), spesso senza sufficiente corredo di riproduzioni, è un'altra questione; ma almeno il buon volere non manca più. E tempo che la scuola ·si avveda c_b.eesiste a_nche la musica. Luigi Ronga ha delineato pochi mesi sono in questo Pègaso un programma di studi musicali; un intellige°:_te, il conte Guido Carlo Visconti di Modrone, ha sostenuto più di recente in Senato l'istituzione di cattedre di sto– ria, anzi scienza della musica nelle università (a ragione, purché non si voglia andar troppo in fretta, improvvisando professori anche colà dove gli studiosi ancora difettano). Ma quale vantaggio porteranno queste cattedre, se i figlioli delle classi dirigenti non porteranno dal liceo, non dico la preparazione dottrinale, ma almeno l'amore per la musica, per la musica alta? Si dirà con ragione : il governo fascista si è reso benemerito anche della cultura musicale dei ragazzi, ordinando che ogni anno le scuole medie di ogni città mettessero su almeno due concerti. Il nuovo ri– medio pare a me tuttavia insufficiente, e temo che qua e là, in qualunque sede non c'era per caso un insegnante medio appassionato e intelligente di musicà, sia stato somministrato in modo da portare più danno che vantaggio. Anche i Gesuiti consentivano il teatro durante il Carnevale e mettevano su essi stessi rappresentazioni, scrivendo apposta drammi «morali», o riducendo per i ragazzi drammi scritti per i grandi, me– diante l'eliminazione di ciò che a essi sembrava immorale (in primo BibliotecaGino Bianco
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