Pègaso - anno II - n. 7 - luglio 1930
I '86 U. Ojetti - Lettera a « Oeccari1's > sul Belli le sole note necessarie, perché tra le tante del Morandi troppe sono o inu– tili o ingenue. Non sarà un'edizione da spacciare in un anno, ma sarà per qualunque editore un titolo d'onore e un ottimo affare. -Più tardi, riacquistati al Belli lettori attenti e affezionati, verrà l'edizione monu– mentale, facile, del resto, ànche prima se si sapranno trovare cento o duecento anticipati sottoscrittori. Ma bisognerebbe che nell'uno o nell'altro di questi libri si studiasse finalmente anche la metrica del Belli; la sagacia di l!}i, dopo tanti anni d'esercizi acqademici in lingua italiana, nel mutare l'accentuazione del– l'endecasillabo e nell'adattarla alla persona che pa-rla e al momento drammatico; la sicurezza del suo periodo poetico, senza un'inversione, senza una zeppa, senza che un verso s'accavalli a,ll'altro, anche nei sonetti dialogati che sono, dopo quelli del Porta, la magna prova della sua inci– siva stringatezza; infine la forza della sua invenzione verbale . .Sì, il no– stro dialetto è-parlato soltanto dal popolo e non, come il veneziano, il mi– lanese, il genovese, il torinese, anche dalle classi colte (tutto è relativo, specie la cultura di certe classi). Si, il nostro dialetto è tanto vicino alla lingua che, da chi non l'ama, cioè da chi non lo conòsce, gli si è perfino negata l'originalità e s'è chiamato più un corrotto italiano che un libero dialetto. Ma appunto per questa sua vita. tutta popolare e per questa sua vicinanza alla lingua, l'invenzione delle parole nuove, icastiche, scolpite, indimenticabili, è nel nostro dialetto stupenda e, anche oggi, continua; e il romanesco potrebbe, a scrittori d'orecchio e di senno si– curi, offrire, meglio. d'altri dialetti e vernacoli, neologismi degni d'en– trare trionfalmente nella lingua italianar. Se questo non è anc6ra avve– nuto o ,è avvenuto troppo di rado, torniamo ai punto di prima: il tort•) è di noi romani che non abbiamo avuto scrittori di sicura autorità e di originale vigore per giovarsi, al buon momento, dei doni del dialetto, e non abbiamo anc6ra saputo rivelare tutti i meriti del Belli e del suo e nostro parlare. Mi creda, caro Ceccarelli, cordialmente suo UGO 0JETl'I. BibliotecaGino Bianco
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