Pègaso - anno II - n. 7 - luglio 1930
78 B. Tecchi Debbo dire che ero andato a quel oolloquio con UID oompreinsibile t:ùmoreo per lo meno assai seccato, ma che avevo anche, di riserbo, una certa forza, tra baldanzosa e ironica. Quell'armamein~ario di vecchia favola, voleva farmi sor.ri <lere, se la passione non m1 ave.sse trasportato il cuore 'in altr i pens ieri. · · Il sigmor Carlo arrivò giù oon una lampada in mano, ooi grandi ·pol,sillli che gli uscivano dalla g·ia.cca, il oollettone altissimo. Fu buffo e tremendo. Urlò, si sbracciò, mi buttò la lettera, che avevo già visto nelle mani ,del rettore, sotto il naso. Ma che oo.sa mi ero me-ssoin testa ? Ero ma.tto ? - Ohe diavolo vuol sal~are lei? vuol fare il salvatore di che wsa? In casa mia non c'è niente da salvare; e .mia figlia sta benis– simo còn noi. Non capii bene tutte le parole che mi buttò aiddosso, ma credlo che il senso di tutte, che la frase noin _detta, ma che pure sbatteva come un pipi,strello nero contro le pareti di quella stainzett-a (male illumina,ta, fosse questa: «morto di fame>>. Il servo ria,prì, fui condotto fuori; ma a metà della oorte av– venne che il ,servo mi la,scias-se solo, credendo forse che or.mai co– r1J oscessi 1a strada. E allora, 111el buio della grande corte, mentre sotto la pioggia cercavo il portone d'uscita, ecco venirmi incontro, quasi traballando, una figura einorme, curva : mi guardò oo.n gli oc– chi stralunati ma dolci, come se avesse da dirmi qualche cosa; ma pc,i s'imbro•gliò, s'a,dombrò, si volse di botto come una bestia im– paurita, e disparve. Ritrovai a fatica la porta. Non la vidi più per due mesi. Un giorno che ero· a passeggio, fuori drlla città ooi raga,zzi e la iincontrai colllla sorella, venllleoone a me per un momento .di lasciare i ra ;ga.zz.ie a lei di ,staccarsi dalla so– rella. Mi p-arlò in un attimo dell e grandi -difficoltà ohe c'erano, del- _ l'ostilità accanitissima ~ei suoi, e le vidi anc6ra sul viso quel velo fuggitivo d'angoscia che pareva illlseguito da un'ombra; ma nel 0011).gedarmi ebbe UID sor:riso fermo di bellezza che non le avevo mai visto, e un accenno lieto oon la mano, come se mi aspettasse. E quamdo quakhe giorno dopo, ebbi per la strada, da UIDami– steriosa donnet_ta., un biglietto ohe m'invitava a UIDoolloquio nel giardilllo -dlietro il palazzo e •andai col cµore ,sobbalzante (a,prì la porta .segreta del giardino proprio lui, lo zio, e mi fece cenno ver,so uu~ pergola), dopo i pr1mi .momenti di smarrimento e di sorpresa scombussolante a trovarmi solo con lei, mi meravigliò anc6ra quel senso nuovo di fermezza che a lei si le,g,gevarnel viso e in tutto il comportamento. Parlava sorridente, calma. Era oome se quell'om– bra di inoertezza fra il rioordo di prima, quando la bellezm non era am-corasrbocciata, e la nuova realtà, fosse caduta; ed ormai ella avesse preso coscienza di sé e si sentisse ,sicura. Non era UIDa skurezza altera, ne era anzi tutta modesta, ma gli ooohi le sor- BibliotecaGino Bianco
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