Pègaso - anno II - n. 6 - giugno 1930

A. CAROocr, Il Paradiso perduto 753 e gli stessi sbandamenti potranno domani, a battaglia vinta, risolversi in un arricchimento. Sull'elemento primitivo e fondamentale della sensualità di Carocci è, intanto, facile scoprire l'innesto di un'i.nsistenza intellettiva di disa– mina, di sceveramento. Un'insistenza che alle volte scopre i toni sin– ceri di un indubbio cruccio interiore (« un'oscura angoscia», « una cupa tristezza», è chiamata nel libro), ma alle volte si mostra compiaciuta e solitaria, in una specie di giuoco, che, per usare un'espressione del– l'autore, chiameremmo vizioso. «Lamia vera vita non l'avevo vissuta che nei sogni, e più specialmente in quelle fantasticherie nelle qua-li mi rac– contavo un immaginario passato ecc. » ; e più oltre, parlando di una giovinetta precoce che sta per andare a letto : « Temeva che, dovendosi occupare in quegli atti minuti, potessero disperdersi le immagini che quei discorsi le avevano fatto germinare nella fantasia e che adesso vo– leva serbare intatte per potersele, appena, sotto le lenzuola, aissaporare e lavorare a suo modo». Eppure, sotto una sensualità complicata e .tormentosa, che qual– che volta parrebbe o vorrebbe apparire anche perversa, esiste, a guar– dar bene, una chiarezza indubbia di giudizio morale. La stessa insi– stenza a chiamar vizioso ciò che, secondo le regole comuni, è tale; certo pacato modo di ragionare ( « il ritrovarci ogni volta, a epoche lon– tane, sempre col medesimo cuore di inquieti !él disillusi..., riallaccia at– traverso al tempo i temi del nostro dolore : tanto che, per tale continuità della natura, ci sembra trovar la conferma della nostra dignità di uomini ») ; e altre espressioni più chiare, non lasciano dubbio che in una zona più remota, di là dalle inquietudini giòvanili o dalle influenze cul– turali, quel giudizio esiste. Ed è un giudizio perfino austero. Nelle ultime pagine del libro, è detto: « In quel canto lento, la sensualità suonava come una profonda e triste condanna della carne .... Esuli ci sentivamo, e se avessimo dovuto dire di quale patria, forse le nostre labbra avrebbero profferito il nome del Paradiso p~rduto ». Il Pa– radiso perduto è dunque quello della purità, della fanciullezza, di « una età senza vizi e senza colpe» ; o è, come per quasi tutto il libro sem– brava, quello della pubertà, cio è della sta gione in cui, per esser domi– nata dal risveglio dei sensi, si celebra.no, secondo una frase moderna, gli istinti ? Senso cristiano o pagano ? I o ·credo che nell'intenzione del– l'autore sia più il primo che il secondo; ma allora come si spiega la compiacenza insistente e quasi morbosa sulla sensualità di tanti episodi e perfino della singola parola? Non si fa qui una questione di morale, la quale, come si· sa, non -è necessaria all'arte e persino può nuocerle; ma una chiarezza di contenuto etico, morale o immorale, o almeno la chiarezza di un'incertezza (giacché anche questa può essere ottimo ar– gomento, ed è stata qualche volta tragica) sembra necessaria. A questa imprecisione di mondo etico, nel libro del Carocci s'ac– compagna, - senza volerne dedurre, ciò che sarebbe pericoloso, una con– seguenza diretta, - la non completa sicurezza dell'espressione artistica. Si potrebbero fare i nomi di diverse tendenze o di diversi autori; ma, per brevità, ci limiteremo a osservare come quel lavorìo di scavo minuto che l'autore fa sui ricordi della pubertà, quell'intrecciarsi e perdersi di 48. - Pègaso. BibliotecaGino Bianco

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