Pègaso - anno II - n. 6 - giugno 1930

752 A. GRANDE, La tornba verde alla dolcezza che un momento dice; ma il ricordo n'è musica: e l'ansiosa. anima solo in questa si riposa. Certamente questa essenzialità espressiva, q uesto e sclusivo atte– nersi all'immediato movimento sentimentale, non van.no scevri da pe– ricoli. Non pochi sono infatti i componimenti di apparen za frammen– taria e incompiuta, o quelli in cui, dopo inizi di bella ispirazione (Gorgoglian) strozzate dal gelo - fontane) le dre nel cuore .... Conosco notti quiete come stanze - vi sognano le stelle .ad occhi aperti), si assi– ste ad un improvviso ripiegamento, dove la voce si vela e s'assorda, e la conclusione ci sorprende come uno spegnersi inevitabile. Anche il Grande sembra accorgersi di questa difficoltà, comune del resto ad al- ~ tri moderni, e che a lungo andare condurrebbe l'ispirazione, tesa nella sua affannosa ricerca d'intimità e di purezza, ad una sorta di paralisi. Prova ne sia che nelle sue poesie di data più recente egli s'induce a tentare delicate trasposizioni mitiche e descrittive (Alba in un prato) Fallimento di Dioniso) Notturno), dove il soffio lirico giunge a con– cretarsi finalmente in immagini e figure esterne. In altre, come in A mio figlio) lo svolgimento è ottenuto con un maggiore abbandono al motivo autobiografico ispiratore: e l'accento di umile dolore umano che si esprime ip. quest'ultima composizione risulta davvero commosso e stringente, senza per altro perdere nella levità e castità del tocco. Difficile è prevedere, anche per l'esiguo numero delle liriche con– tenute nel libretto, quali potranno essere dom_ani gli sviluppi del gio– vane poeta. Col che non si vuol dire che il Grande si trovi ancora ad uno stadio puramente sperimentale della sua arte. Se anche talvolta ci sembra riecheggiare, in qualche modulazione, il ·-saba delle Canzo– nette e lo Sbarbaro di Pianissimo) e, in qualche atteggiamento o co– lorito descrittivo, il Montale, bisogna riconoscere ch'egli possiede una fisonomia ben sua di poeta, un piglio ed un'intonazione legittimamente riconoscibili. Già s'è indicato quali ci paiono essere i suoi modi e mo– menti più schietti : attendiamo ora che, superate le difficoltà insite nelle, sue stesse ambizioni di poeta, il Grande giunga a toccare quella fioritura di cui La tomba verde rappresenta già un'egregia primizia. SERGIO .SOLMI. ALBERTO CARoccr, Il Paradiso perduto. - « Solaria », Firenze, 1930. L. 10. Alla, prima pagina, il libro mostrç1, subito la sua nota fondamen– tale: « quei fiori carnosi. .Se ne sentiva l'odore per tutta la casa, un profumo tenace e vizioso, mischiato alla torbida inquietudine solare». Quante volte questi aggettivi: vizioso, torbido ecc., sono ripetuti nel libro! Eppure, benché l'elemento fondamentale, la sensualità, sia uno dei meno complicati e dei più primitivi, la formazione spirituale e ar– tisti~a di -questo autore, nonostante l'età giovaniss,ima, non è stata tra le più rapide e facili, né può dirsi in tutto compiuta. Forse lo stesso trovarsi nel vivo dei contatti letterari, come direttore di una rivista di giovani, oltreché l'incrocio di confluenze native, avrà contribuito a esa– sperare una sensibilità, già pronta ai contatti; anche se le confluenze BibliotecaGino Bianco

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