Pègaso - anno II - n. 5 - maggio 1930
S. POTTER, D. H. Lawrence, a jirst study 637 una indagine sottile, la quale non si fermi, come fa talvolta e con giu– stificato appiglio quella del Potter, alle parole che il Lawrence pone sulle labbra di certi suoi personaggi che lo rappresentano, ma le con– trolli esaurientemente. Talvolta le stesse dichiarazioni autobiografiche del' Lawrence appaiono confessioni soltanto parziali e tutt'altro che persuasive. Co:;;i nello « schizzo autobiografico » raccolto nel volume di Assorted Artioles che il Lawrence aveva composto e licenziato alle stampe pochi giorni prima della sua morte e che vede oggi la luce presso il Secker, egli riduce la sua impossibilità di armonizzare col mondo, la sua fondamentale e spirituale insociabilità ed il suo ansioso ed esaspe– rato solipsismo, ad una questione di casta o di ceto. Nato di popolo, egli sente istintivamente l'ostracismo che gli dànno le classi medie con cui non può comunicare, con cui non può stringere mai un vero con– tatto, e sente nello stesso tempo l'ostracismo dal popolo da cui è uscito senza possibilità di ritornò, perché anche il popolo ha, come le classi medie, le sue ottusità e le sue map.chevolezze. Se egli si trova bene in Italia, nella campagna italiana, presso i contadini che sono il popolo italiano, non è pt:irché egli riesca davvero a vivere in mezzo al popolo e col popolo, ma perché questi contadini italiani sono vivi come egli è vivo, parallelamente a lui se non congiuntamente a lui, e il Lawrence ha l'impressione che in loro e da loro fluisca un « fiotto umano >>, come egli dice, ancor lungi dall'esaurimento. Questo « schizzo autobiografico», notevole per il suo candore e per la sua placidità antiretorica, potrà servir di mònito se non di modello ai biografi presenti e futuri. ALDO SORANI. ALFREID DoBLIN, Berlin Alexanderplatz, die Gesohichte vom Franz Bi– berkopf. --- Fischer, Berlin, 1929. Mk. 7. Sarà bene discorrerne subito perché, a giudicar dalle frenesie che questo romanzo (o storia o poema o epopea) di un poeta ormai più che cinquantenne, ha suscitato tra _la gioventù asentimentale e frigorifera che ha confinato Thomas Mann tra i bonzi e Gerhart Hauptmann tra le mummie della decima dinastia, a giudicar, dico, dagli osanna della cri– tica più giovane cui gli anziani per convinzione o per non parer arretrati fan coro, di questo Berlin Alexanderplatz sentiremo parlare a dritta e a rovescia, di seconda, di terza e di quarta mano e fino alla sazietà. È uno di quei libri-tappa o faro o svolta che chiunque s'occupi di lette– ratura tedesca non potrà ignorare, ma che sarà nondimeno citato senza risparmio proprio da chi non ne ha visto nemmeno la copertina, pittoresca e riassuntiva del resto, com'uno di quei cartelloni da fiera che i cantastorie commentano per via, alternando magari, tra incisione e capoverso, la glossa metafisica e desolante di un organino. Ma la musica qui è ben diversa. Il richiamo al cantastorie possiamo mantenerlo per un istante in quanto, al principio di ciascuno dei nove libri di cui si compone il romanzo, l'autore enuncerà l'argomento che vuol svolgere e che, sissignori, svolgerà, ma i.p quale mai insospettata BibliotecaGino Bianco
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