Pègaso - anno II - n. 4 - aprile 1930
454 S. D'Amico • Mors'elli e il « Belfagor » La fovo1'a,,agevolmente composta iJn qua.ttr'atti, soorre am:noo~ n~' primi due con 1m'~o-evolezza e una festosità tutte morselhane. Dalla ,scena iniziale dell'addio di Baldo, - che parte iJn traccia n0111 dli glloria co~ Glauco, ma d.i dena:ro da guooagmar ool :rischio della vita, unicamoote per costruire il suo nido, - fimo all'esosa prepo– tenza del diavolo, che mette la povera Oand1da al solito dilemma, tra un'iinfame condanna di suo pad:re innocente e il matrimonio aborrito•, tutto procede in una tooue felicità d'iinvenzione, ooo una ooforitura facile e beata, da ricordare il miglior lVIor.sellli.Fantasia popol·are, e realtà, oome ,dioevamo, paR.-s 1 ana, ,s'iintr,ecciano dli.letto– srumente, tra il pr()fttililo d'un eloquio piano e acerbetto, non scevro qua e là di qualche vergine sboccatezza, e il rioorrer del leit-motiv più caro, :fiJll dalle storie e dal Glauco, al nostro poeta, quello del :mare e dell'avvent1~ra, che pa.I,pitan sullo sfondo. Il terz'atto, che descrive le resistenze della coatta sposa al nuovo marito, e ·forse più amoora il quarto, che inscena il ritorino del ve:ro ,sposo, son forse un poco embrionaili ; hanno ancora, qua e là, meglio dello schema e dell'abbozw, che dell'opera compiuta; e insomma confes– samo d'ess,er quello che ,probabilmente sono, un'opera no[l rifinita. Ma quante delle commedie che .gli autori d'oggidì, nostri e stra– nieri, ci ,danno per perfette, son più immature e sc-abre di questa? In eonclusiooe Belfagor non ci pare, diciamolo subito, o~ra da amtologia: il critico che si mettesse a:l la.voro col lapis in 1JI1ano, per trarne le citazioni preziose o ,saporite, dov.rebbe :probabilmente rideporlo •sul taccuino bianoo. La grazia dell'imcompiuta commedia è piuttosto nel suo :piglio, nella sua a,tmosfera, neil sorriso che' la . in-flora. Ma, seppure ;f0, qualche a,ppello •all'indulgenza del lettore, è grazia: benedetta e consacraita dall'atto di fede finale. Alltra volta ci è capitato di cita,rè un,a frase solenne del Mor,selli, g·ià vicino a morte, e non ancora ,s:piritualmente ·tornato al suo Dio, c on quelll'mtera fede che consolò il ,suo trapasso. ,Straziato d~l ma.le che lo portò alla tomba, egli -si scusava con un aimico di non far rp iù poesia: « T'lt mi dirai: Leopardi lavora1,a lo stesso. Ma Leopardi non scriveva per il teatro. Chi scrive per il teatro ha ilei doveri inflessibili. Deve dnre a profusione fo,rtezza e fede, e · non disperazion,e. La disperazione se la deve tener per sé>> .. In questa nost:ca ora già no!Ìl ,più mesta, in questo momento l.lil cui gli stessi a;utori draimrnatici che ieri cantavano l,a catastrofe e lo sf.acelo ci tengono a mostrare 'di rinlllovarsi, e i giovani autori d'oggi pafon desiderosi dli pronll[lciare una parola di bontà, ecco que.lla che ci · ha lasciato il Poeta morto. Ringraziamo Tomas,o Sillani d'averla fatta giungere, con ae .su~ cure amorose; fino a· no,L SILVIO D'AMICO. BibliotecaGino Bianco
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