Pègaso - anno II - n. 4 - aprile 1930

Rilke plaB-tico e romantico 413 C'è a.a volontà i 1 ntelnsa d'att•enzio111e dello scolaro in questi versi, che l'Erl'la.Thteha troootto tanto bene, e quasi classicamente. Più tardi, -signore raffinato di questa mamiera, il poeta vi tornerà tal– volta, 111ei Sonetti ad Orfeo, oome adl u111 giooo d'arte: «Danzatrice: o tu che trasmetti l'a,ndare di tutte le cose fuggi– tive : OOillle hai tu rappresentato questo ? E quel turbine alla fine, quell'albero di movimento, non ha preso esso tutta in possesso l'am- 111atagher mita ? « Non : fio.ri ·aJll'improvviso, tacita, la sua vetta, volteggiandole :imit-0:mo il t uo volo ? E su tal qui-ete 1110111 fu sole, non fu estate, il oo.lore, quel calore irnrnmerevole che viene da te ? « Ma es,so anche portò, esso p,ortò 7 il tuo a,lbero dell'estasi. Non sono le sue '.Pllacidefrutta: la brocca striata di cerchi, e i vasi amche più striati ? · « E nelle ilIDlmaginia111c ora : non è r ima.sto il disegno che il tratto oscu:r,o del rtuo -sopracciglio traccia.va fulmineamente su la parete dello stesso tuo vor.tice ? >>. · Rilke aveva fatto suo un oonoobto di Mallarmé, che del resto era lillolto dliffuso irn quel tempo e si trova anche ih D' .Ainnum.zio: il co111oetrto che le cose « a1spettassero >> di essere intese e manifestate dall'arte. E una mistica artistica, che va al di là della dom:imazione d'una ragione estetica sul moodo, tainto cara a Nietzsche. Tutti sanrno che il valore di una tale idea nOIIlpuò essere che :figurato : nondiimerno Rilke -se111e imbeve tanto da farne urn•aspecie di motivo emnetioo insieme e patetico della propria missio111e d'artista. Quelle cose «aspettanti)), tese verso d[ lui, lo mettorno nel necessmdo ~o d'angoscioso zelo, giiusti:ficano alla sua runi<mamisericorde l'affanno che egli ,si prende di rivelarlle poeticamente. Egli non è meno cornsa– pevole di esercitare un'attività dominatrice sul mondo di quello che fossero i tanti esteti e nicciani del suo tempo : trrun111e che il suo è un mondo di dolore, ,tutto intimamernte ;piagato, come quello dei russi, come quelllo che egli stesso conosceva rnel proprio debole coripo, uncinato dalle sensazioni reali e immaginarie dei mali. Nena sua :mppresentam01I1e· degli spettlaooli del mondo, la nrirnor parte è quella della glori:ficaziO!Ile,la massima è quella della pietà. Pietà delle cose e dell'artefice chiamato a trasmettere lo ·spasimo che esse provano d'esistere. Pietà spesso esasperata; ma efficace solo irn quanto le è daito porgere l'oblio dell'artistico illlca-nto: è questa la liberazione che egli può offrire. Il povero artista dagli occhi cosi chiad, dalla icastica di si allucinante esaittezza, ha dootro di sé lo sgomento, il 1mppliziato orrore, il senso della terrena percossa, che egli evoca modulrundo, con vjgilata perizia d'arte, su la lira d'Orfeo. Non è egli un poeta crist:i!a-no,mai, per quanto abbia predliletto taJlune posizi-0rni spirituali del cristianesimo, la penitenza, la con– fessione, il senso di dannazione, lo strazio anelamte dell'3JIIlore, BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy