Pègaso - anno II - n. 4 - aprile 1930

Gente in Aspromonte 395 belJlina, la guardò. si mise a sbocc:o!llcelkt,rla, . .AlntoneUo divenne rosso che ,pareva di fuoco e non sapeva dlove guardare. -:-- Io. dico, signore, - gridava l'Argirò, - che quando queste ('.-Ose succedono, è per la disgrazia di noi poveri pastori. I signori ,'3e ne infischiamo. Essi hamno la tavolla ,pronta .sempre. Ma noial– tri. ... - Ce ne infisc-hfamo ? - Il Mezzatesta si era piegato a ra,c– cattiare qualche cosa ma non vi riuscì, im;pedito oom'era dal suo voluminoso ventre. In un sec,ondo tentativ•o riuscì ad afferrare la scarpa che gli ,stava davanti, e la scaraventò oontro il pa,store. Que– sti Ila ricevette in pieno petto, e la vide ca·dere ai suoi piedi chiodata, gialla, enorme. - Tu dici che ce ne infischiamo? Perché? Rubiamo llloi forse? - No111 dico questo. Dico che voi siete il padrone d[ mezzo paese, il padrone !IlOstro, e della nostra vootura. Ma io che fooevo affidamento sulla voodita della fiera per av•ere la mia parte, per me è ,un disastro. Io sono rovinato, io, non voi. Che interesse av•evoa rovÌIIlarmi ,oon le mie mani? È la.mia cattiva stella. - N•os– signore, lo hai fatto apposta. Tu sei una zucca, prop,rio come ti chiamamo. Va' via, ora, e non mi oomparire più davanti. - Dicendo così oontava il denaro che quelllo gli aveva lasciato, e in quell'atto, col volto chino, parlava, come chi prosegue distrattamente u111 di– scorso e pensa ad altro. Le donne stava;no lungo la parete con le mam.ioonsert,e, ed era come non sentissero perché più volte l'Argirò, guardandole come per cercare aiuto, aveva veduto i loro occhi lo111- tani e che non volevano vedere. - Ma signore mio, io faccio il pa– store della vostra casa fin dallla nascita, fi!llda quando voi eravate rrugazzo. Sono oome questo ragazzo che vedete, runche lui creatura innocente, pastorello vostro. Que.sta volta m'è andata male. Ma oome vi ho servito per tam.ti anni? - Oh, sì, bella la vita di mon– tagna senza far 111ulla.Gli animali mangiamo da loro, camminano co111 le loro za,m,pe. Bello sforzo, bello sforzo, fare il pastore. - La cosa è rnndata come è andata. Ma che non potreste darmi da custodire i maiali, per esempio, o le pecore ? La sfortuna 1non si ostinerà poi .sempre co111trodi me. - Niente, niente .. Va' via. Io non ti voglio più vedere. No111 voglio più aver nulla da fare oon te. - Ma oosì mi rovinate! - Ti rovino. - Ma questo, ma questo .... - Non ,sapeva che dir,e. Si guardò attorno, vide il figlio di quell'uomo, che sbocconcellava l'ultimo pezzo di ciambella, che somigliava sputato a suo padre e lo rico!llobbe odiosamente. Con Uilla sùbita risoluzione aggiunse paicato : - Allora datemi la metà deil mio d!einaro. Quello che mi spetta. - Quello che ti spetta ? Sfacciato ! N,on ti do un so1do, capisci ? E ricorri dal giudice, se vuoi. Fammi la causa, capisci ? - No, per la montagna! voi me la darete la parte mia, e se !Ilonme la darete la darete a qualcun ailtro. La darete a Dio ; eooo, al Signore I,ddio che vede questa ingiustizia. - Il Mez– zatesta aveva ,puntellati i pugni sulle ginocchia aperte, sporgeva il ibliotecaGino Bianco Fondazione Alfred LeW1l1 · Biblioteca Gino Bianco

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