Pègaso - anno II - n. 4 - aprile 1930

Gente in Aspromonte 391 zfa. Una si presentò con un'aria malig:na e sottomessa, e disse: - O Betta, oo l'avete un chilo di questa carne per me? - Nessuno 11• rispose, ma dall'irnterno della casa ~a voce dell'Argirò si mise a gridare: - Gente maledetta, che v,uoi maillgiare della mia rovina, che IIlOna.spetti che finis0a,no le disgra.zi € per buttartici sorp-ra.L'ho già venduta tutta, e tutti ne mam.g,era1111110 meno che questa gente maledetta. Quam.d!oa un crristiano capita qualche cosa di male, tutti intorno a volersene profittare come c3Jlli! Misericordia, Si– gnore! Puah, puah ! - Antonello si era seduto sulla cassa della biancheria e asc,oltava quelle parole come una 1I1ooia,attentamente. Pn la prima v-olta capiv,a di esseTe in mezzo a qualche cosa di irn– giusto; il sentimento della sua condizfone gli ,si -affacciò alla mente improrv;vìso e chiaro e si sentiva come un angelo caduto. Guardava fiBso l'immagine di Sam. Luca appesa dietro alla porta. Suo padre si era seduto sul letto. La madre gli diede quattro fichi e U111 pezzo di pane : - Mangia, figliolo. - Quello sentì le mani di sua madre nl'lie sue ,per un attimo, calde oOùllese fossero le sue mani stesse. La stam.za era segreta e fresca. Fuori si s,entivano voci e rumori quasi in ritmo, come il rumore assiduo dellla pioggia. Antooello si addormentò, col :pamenel pug1no, sulla cassa. III. Non erano le otto quando l'Argirò entrava nel palazzo dei Mez– Zl:Ltesta.Il portone era aperto. L'arco del portol!le, di cirnque metri d'altezza, mostrava la sola pietra lavorata che esistesse i[l paese, e dli cui uno scampolo era servito ,per Ilo stipite della chiesa, per i gradini, .per le due magre col0111ne. Palazzo e chiesa addossati, re– cam.ti essi soli i materiali nobili del paese, il ferro e la pietra, e la sola for,ma nobile, la colonna. Dentro quel palazzo, composto di tre -edifizi addossati con scale interne ed este:r:ne, che ,partivano tutte da un ampio cortile, a entrate diverse, sostenuti da contrwf– forti coi fichi selvatici nella massa del muro, sui bastfoni, o come ciuffi sull'arco del ,portone, viveva la grande famiglia dei Mezza– testa, oon le scuderie a terreno, i m3Jga,zzini,le cucine ,piene di servi, e al ,piruno nobile i padroni oon le loro donne dal capo irnoerto e vezzoso agitantesi in ritmo di comando. Essere servi in quella casa era già un privilegio. Le serve che irn lunghe file tutto il giorno 3Jndavano e tOTnavainocon gli orci e i barili sulla testa ad attingere acqua a tre chilometri dal paese, formavam.o la cupidigia segreta <ilei maschi, recam.do esse, fuori di casa, il sorriso della più giovane padrona nata dalle nozze fra cugini, che annaffiava castMI1ente verso sera il g3/l'ofano elegam.te sulla terrazza. Queste serve avevano smesso l'abito popolare. In queste case pochi penetravam.o senza iblioteca Gino Bianco

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