Pègaso - anno II - n. 4 - aprile 1930

502 M. MORE'l'T~, La casa del Santo Sangue gli scrupoli del mondo, ma il pittore riesce ad insinuarsi, e Marta esita, vuole non vuole infine cede al vecchio sogno d'amore. Evidentemente quello che doveva fare un gran giuoco era qui l'ironia o la malizia di cui Moretti non è sprovvisto : è questa che avrebbe do– vuto portar~ materia al romanzo e buon sangue in un campo già an~– mico e funestato da una letteratura, i cui pericoli, per lo stesso Moretti, erano scoperti. L'esperienza del romanziere si sente che più di una volta. aveva visto giusto e aveva messo le mani su un argomento (perché no?) buono, capace di molte risorse, com'è quella .del malizioso contrasto tra «ottocentista>> e «novecentista>>. Senonché un certo pudore o timidità o altri elementi, di cui parle~ remo, hanno fermato la mano, che doveva essere tanto più ardita q'Uanto più la materia 'era delicata, allo scrittore di romanzi. Leggendo si ha l'impressione che il romanziere ceda via via al pellegrino sentimentale, al rievocatore nostalgico di un viaggio: la malinconia prende il soprav– vento e diffonde le sue ali; delicate ma invadenti, in un'aria grigia, con toni e fragilità che in Moretti già si conoscevano. Ed è singolare che la struttura ironica appaia meglio a libro chiuso, quando il lettore ci ripensa su, concatenando i fatti: come intenzione più che come attua– zione. Anzi il meglio di questo libro a me pare che sia nel « tono fiabesco >>che lentamente si va formando e sopratutto nelle pagine in cui la favola appare liberata in un'aria pura, scevra da contatti reali– stici e da contaminazioni ironiche, come nel capitolo : Il sorriso della Doyenne; o in certi ritratti a scorcio, dal vero, com'è quello del bambino ,1ella cantante che ruzzola tra la sabbia, nella pineta di Cervia, quando l'atmosfera di Bruges non si è ancora formata: « vestiva da ometto, le gambe nude, i calzoncini cortissimi, i sandali, un graffio al polpaccio, tutto come gli altri bambini.. .. ma gli occhi umidi e grandi, fin troppo neri, fin troppo attoniti e ·fissi, quelli non erano suoi, quelli li aveva ru– bati alla mamma>>. Ma nella parte centrale, che avrebbe dovuto fondere sògno e realtà e costituire la ragione del romanzo, la pagina oscilla incerta tra malin– conia, e ironia, né raggiunge un risalto e un'autonomia sua. Ma credete che di tutto questo, Moretti non si sia accorto? E non è un luogo comune anche quello di un Moretti sprovvisto di senso c:ritico ? Negli ultimi capitoli i due piani, che nel libro si sovrappongono, quello del romanziere e queHo del diarista sentimentale, - del quale non è da dimenticare l'abilità finissima e la grazia con cui sono inserite nel ro– manzo esattamente, ma senza pedanteria tutte le informazioni sulla vita di Brugés e del suo beghinaggio, - sono evidentissimi. E a un certo punto Moretti fa dire alla sua·eroina queste chiarissime parole: « Addio Bru– ges, addio dolce favola che non si potrà raccontare!>>. E poco più sotto: <1 la favola era quella, da racconta,re. solo a se stessa>>. Ma di un'altra cosa si è accorto il Moretti. Come se gli dispiacesse di falsare un argomento su cui è caduta a picco tanta letteratura Mo– rett_i ogni tanto fa dire a qualcuna delle beghine vere : « Ah, voi' siete un mtellettuale? Avete letto Bruges la morte di Rodenbach? ». - Op– pure ecco la risposta della « Grande Dame >> a Marta : « Nessuna beghina è mai entrata qui dentro per un!},ragione come questa>> (per una malin– conia d'amore). BibliotecaGino Bianco

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