Pègaso - anno II - n. 4 - aprile 1930

G. P ASQUALr, Domenico Oomparetti e la filologia del sec. XIX 491 logi e non sono, come sarebbe insensato imprecare contro la poesia per i mo]ti che-si credono poeti e non sono. E la comparazione, credo, andrebbe portata anche più oltre : fino a negare fede e valore a quei cosi detti con– tributi che fu costume chiamare onorabilmente pietre o pietruzze di non si sa quale edificio futuro ; le quali a che cosa e in che modo p.ossan servire non è facile intendere se chi le raccolse non aveva in mente di codesto edi– ficio neppure le linee maestre e quindi ignorava a qual fine le avesse rac– colte, e con qual forma e misura avrebbe dovuto squadrarle e adattarle. La frammentarietà come tale ha sempre rappresentato un lavoro ozioso e vuoto : come poetare a capriccio e a caso non è poetare. Anéhe nel lavoro minuto, e solo in apparenza frammentario, lo stile filologico vero ha il senso dei rapporti, della compiutezza, ,della totalità; conosce l'or– dine in cui ogni ricerca si incentra. Perciò dice bene il Pasquali eh<' ogni scienziato di vaglia, come ogni scrittore veramente grande, ha il suo stile, cioè una sua impronta indisconoscibile nel ragionamento e nella ricerca. Appunto questa coerenza di stile, questa centralità uni– taria il Pasquali ha cercato di chiarire e di definire nel Comparetti. Sopra tutto nelle intuizioni e, diciamo pure, nei precorrimenti geniali egli l'ha cercato e veduto ; anche negli errori e nei difetti, suoi e del– l'età sua. Io non oserei insistere sul Comparetti romantico. Non per negare codesto; è una di quelle generalizzazioni (non dico generalità), o meglio una di quelle definizioni di largo ambito che il Pasquali qualche volta predilige : ma perché in realtà poco definisce e distingue, se non in quanto collochi il Comparetti in quel medesimo ambiente di cultura europea che il romanticismo informò e nutri e da cui anche la filologia classica moderna derivò, naturalmente e necessariamente, moti di pen– siero e di indagine fecondissimi e fortunatissimi ; come anche posizioni di problemi che oggi appariscono errate. L'una cosa e l'altra si ricono– scono nell'opera del Comparetti più nota, il Virgilio nel Medio Evo: del quale, se ho letto bene tra le righe, non mi pare che il Pasquali abbia ammirazione altrettale e altrettanta che per altre opere di lui meno note : · e dove in realtà, se non più facile al Pasquali scoprire, più difficile fu al Comparetti evitare limiti o pregiudizi non suoi. In ogni modo, ro– mantico più o meno, il Comparetti è tutto in questa ricerca storica, in questa integrazione e interpretazione storica del documento. Tale egli si rivelò fino dal 1858, quando, appena ventitreenne, e diplomato in farmacia, lesse, integrò, interpretò una lacunosa orazione di Iperide venuta allora alla luce; e tale si mantenne fino agli ultimi anni della sua attività più che semisecolare. In quell'Italia negli studi ancora un poco tarda e assonnata e impacciata, ancora poco sensibile al respiro delle correnti europee, ancora legata al vecchio umanesimo retorico, e dove avevano nome e autorità Tomaso Vallauri e perfino Michele Cop– pino; il Comparetti fu veramente un precursore: vide subito con chia– rezza; capi che sopra tutto da uomini come Augusto Boeckh la nuova filologia doveva prendere norma e sostanza; e eh' ella è sforzo di inter– pretare e ricostruire l'antico, e non di pascersi su l'antico in diletta– zioni oziose e leziose. In questo sforzo e in quest'opera il Comparetti ebbe la lucidità e la fecondità dell'uomo di genio. E alla sua fecondità anche contribuirono e conferirono certa speciale natura dell'animo e 32. - Ptgaao. BibliotecaGino Bianco

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